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Questo articolo è stato pubblicato il 09 novembre 2014 alle ore 14:27.
L'ultima modifica è del 09 novembre 2014 alle ore 14:28.

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Il risultato delle elezioni americane di medio termine assume un significato e un indice che trascende le dimensioni della politica interna. L'America rimane la democrazia il cui stato di salute determina in larga misura la credibilità del modello del capitalismo liberale nel mondo.

Il declino americano si è manifestato in più occasioni, ma nessuno può discutere le indubbie capacità di rinnovamento istituzionale che si sono espresse con il New Deal e la "Nuova Frontiera" e proseguono con l'attuale predominio finanziario e tecnologico delle grandi società americane, che stanno determinando le strutture economiche e politiche del XXI secolo.
La storia americana è scandita in guisa totalmente personalizzata, nel bene e nel male, dalle figure dei presidenti, che trascendono sovente qualsivoglia riferimento ai partiti politici che li hanno proposti. È così che la recente sconfitta elettorale del Partito democratico viene considerata una umiliante disfatta del presidente Barack Obama, intorno al quale si erano create straordinarie aspettative, smentite presto da deludenti risultati politici concreti.
Potrei oggi confermare una mia personale opinione, espressa nel corso della nona edizione dei Nobel colloquia il 2 dicembre 2009, alla quale ero stato invitato, per valutare la politica economica di Obama, dopo un anno dalla nomina. I premi Nobel presenti, da Solow a Maskin, a Merton, a Becker, diedero i pieni voti favorevoli all'Amministrazione Obama, soprattutto per le sue operazioni di salvataggio del sistema bancario, allo scopo di evitare il tracollo dell'economia.

Come riportato dai mass media, l'unica pesante bocciatura fu la mia, riferita alla politica economica e relativa al fatto che Obama non avesse saputo offrire adeguate soluzioni, come aveva fatto Roosevelt nel 1933, introducendo il Glass-Steagall Act, che separava le banche di investimento da quelle commerciali e istituiva la Securities and Exchange Commission.
Il giudizio di allora è confermato oggi dall'elettorato americano. Illuminante è la testimonianza dell'ex Segretario al Tesoro Timothy Geithner, che nel suo libro Stress Test: Re-flection on Financial Crisis descrive le motivazioni della politica economica del presidente, della quale con orgoglio si dichiara ispiratore. Come ha sottolineato Krugman, un'ironia latente pervade il libro, a partire da una conversazione col presidente appena eletto, nella quale, illustrando a Geithner il suo fondamentale compito di evitare una seconda grande depressione, chiariva di voler comunque passare alla storia non per quello che era riuscito a evitare, ma per quello che era riuscito a fare.
Se è pur vero poi, che almeno in parte la grande depressione non è stata replicata, è certo che Obama non ha saputo evitare il disastro economico, che i recenti segnali di ripresa dell'occupazione non riescono a cancellare. Ed è proprio la base teorica della politica economica della quale Geithner mena il vanto a costituire la principale ragione del fallimento di Obama. Il capitalismo finanziario, nella sua selvaggia deregolamentazione, ha trascinato con sé la politica della Fed, la quale ha, con insperate iniezioni di liquidità, provveduto al salvataggio delle "banche ombra" e alla protezione delle grandi banche, da Goldman Sachs a Morgan Stanley, impegnate anche nel mercato degli strumenti finanziari più opachi e dei prestiti a breve. La politica americana si è così spostata alla protezione del capitalismo finanziario invece che operare a sostegno del capitalismo di produzione. Il risultato è stato un aumento delle disuguaglianze che dalla società americana si sono sparse nel mondo a seguito di una globalizzazione senza regole e di una innovazione tecnologica fuori controllo.

La tesi sbagliata è stata quella di credere che il problema principale della crisi riguardasse la mancanza di fiducia e di credibilità che solo il salvataggio delle banche avrebbe riportato, lasciando al resto dell'economia di prendersi cura di sé. Il tanto decantato Dodd-Frank Act del luglio 2010 non solo è arrivato in ritardo, ma è risultato vago ed eccessivamente complesso, tanto che la cosiddetta Volcker Rule, dal nome dell'ex presidente della Federal Reserve, che proibisce alle banche il trading in nome proprio, è stata protratta in negoziati fra le agenzie pubbliche di vigilanza, dalla Federal Reserve alla Securities and Exchange Commission, per approdare alla fine del 2013 in una normativa di scarso rilievo e concretezza e ancora incompleta nelle sue regolamentazioni applicative.
Nonostante la diversa opinione espressa nel 2009 dai Nobel, l'elettorato americano ha bocciato nelle elezioni del medio termine la politica economica di Obama, lasciando aperti una serie di interrogativi sul futuro del predominio americano, della globalizzazione, delle democrazie liberali e delle insensate politiche economiche che sulla spinta americana hanno finora guidato anche l'Unione europea.

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