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Questo articolo è stato pubblicato il 11 novembre 2014 alle ore 07:13.
L'ultima modifica è del 11 novembre 2014 alle ore 07:14.

In Italia più di un giovane su due (54%) ammette di essere stato influenzato dai genitori per scelta e sviluppo della propria carriera lavorativa. Troppo? No, troppo poco: più della metà vorrebbe «imparare ancora» dalla famiglia, mentre quasi 4 genitori su 10 ritengono di «non condividere abbastanza» gli insegnamenti che potrebbero essere utili ai figli.
È il quadro offerto da una ricerca LinkedIn, il colosso del lavoro online, a margine dell'edizione 2014 di Bring InYour Parents Day: una specie di open day alla rovescia che permette ai genitori di entrare in azienda e «vedere con i propri occhi» il lavoro delle nuove generazioni.
Non che gli italiani siano più “mammoni” della media, anzi. Secondo la ricerca LinkedIn la maggiore influenza dei genitori si manifesta in paesi come India (92%), Australia (76%), Stati Uniti (72%) e Spagna (62%). Nella Svezia che finanzia studi e affitti dalla maggiore età in poi, la percentuale scende al 35%.
«Differenze come queste lasciano presagire uno scarto tra quanto accade, ad esempio, nei paesi di nord e sud Europa. Nei sistemi nei quali la famiglia ha più peso per gli studi, come nel caso del Sud, è chiaro che i genitori esercitano un'influenza maggiore» spiega Vincenzo Galasso, ordinario di Economia Politica alla Bocconi di Milano. Banalmente, dice Galasso «se è la famiglia che deve fare l'investimento, sarà più facile che sia lei a decidere dove indirizzare il figlio. Basti pensare a quello che succede alle scuole superiori, dove si iscrive a un certo liceo se si ha una certa famiglia alle spalle etc.». Il rischio? Una polarizzazione sempre più netta tra chi è “plasmato” fin dall'infanzia e chi deve farsi strada da solo: «Se i genitori ci indirizzano sul percorso di studi e nel network famigliare, questo rischia di creare un sistema di professioni che vengono passate dai genitori ai figli. Sarà più facile per alcuni trovare lavoro rispetto ad altri» spiega Galasso. Senza neanche un grazie, magari: LinkedIn fa notare come appena il 12% degli intervistati abbia riconosciuto il ruolo giocato dei genitori, anche se il 58% riterebbe giusto farlo.
Tanto, ma non abbastanza. Il 35% dei genitori teme di non trasmettere a sufficienza competenze come problem solving (44%), perseveranza (42%), integrità (39%), capacità organizzativa e di gestione del tempo (37%). Alle volte, non è chiaro fino in fondo di cosa si stia parlando: quasi un genitore su quattro ammette di «non saperne abbastanza» sulla professione specifica del figlio. «Può essere contraddittorio che i genitori non conoscano la professione esatta dai figli, dopo averli indirizzati di fatto verso l'area di riferimento – spiega Galasso -. Ma è anche vero che il mercato professionale sta cambiando con una velocità tale che è difficile seguirne tutte le evoluzioni».
Succede così che le professioni più recenti restino nel mistero, forse per l'eccesso di inglesismi che le accompagna. È il caso del “data scientist”: l'attività dell'esperto di dati che si muove tra matematica, statistica e informatica resta un enigma per quasi 8 genitori su 10.
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