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Questo articolo è stato pubblicato il 11 novembre 2014 alle ore 08:21.
L'ultima modifica è del 11 novembre 2014 alle ore 08:51.

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È la paura del voto anticipato l'ostacolo alla riforma elettorale. Il premier rassicura ma la legge di stabilità – con tutte le misure che vanno a caccia del consenso del ceto medio – lascia il sospetto delle urne. La via d'uscita per sbloccare la legge elettorale non sta tanto nelle soglie di sbarramento o nel premio di maggioranza, punti importanti, ma non del tutto decisivi.

La chiave è disinnescare la paura del voto anticipato di quei parlamentari che rischiano – forse più della metà – di non essere rieletti. È lì il cortocircuito che mette sabbia negli ingranaggi del patto del Nazareno e nelle intese con la maggioranza sull'Italicum. Tensioni che in prospettiva si scaricheranno sulla successione al Quirinale, tassello importante dell'accordo con Silvio Berlusconi, convinto pure lui – come ha dichiarato qualche giorno fa – che Renzi punti alle urne a primavera.

Matteo Renzi ha rassicurato ancora ieri che l'orizzonte è il 2018, ma è la legge di stabilità – con tutte le misure che vanno a caccia del ceto medio – a far vivere il sospetto. E dare sostanza a quei timori. È la manovra il “luogo” della tentazione. Da sempre le finanziarie sono servite alla politica per produrre consenso e questa legge di stabilità – che certamente si muove nella giusta logica di fermare la recessione e invertire il ciclo economico – lascia aperto lo scenario di uno sbocco elettorale a breve. Perché lo spirito di fondo è un po' come quello che ha preceduto le europee di maggio. Si ritrova la conferma degli 80 euro per i ceti medio bassi ma c'è anche l'apertura alle imprese con il taglio dell'Irap. E la frenata sulla spending review si può leggere nello stesso senso: non esporsi troppo all'impopolarità. Dagli annunci di settembre a oggi, Renzi ha ritoccato al ribasso l'entità dei tagli: dai 20 miliardi annunciati è passato alla metà, circa.

La scommessa è non perdere la presa sul ceto medio e aprirsi a nuovi blocchi sociali. Per i redditi fino a 25mila euro la legge di stabilità conferma il bonus di 80 euro che porterà uno sconto fiscale sull'anno di 960 euro. Secondo i calcoli di Bankitalia si tratta di un alleggerimento del 3,6% del carico fiscale di un lavoratore dipendente con uno stipendio medio annuo di circa 20mila euro. Renzi ha poi aggiunto il bonus bebè e sta cercando la formula fiscale adatta per mettere il Tfr in busta paga.

Insomma, un pacchetto per dare fiato ai redditi di una categoria sociale che è lo zoccolo duro del Pd, quello che votò Bersani nel 2013 e ha votato anche Renzi nel 2014. Nelle stime di Itanes (2013) sulle professioni che pesano di più nel bacino elettorale del Pd, dopo i pensionati (37,5%), ci sono gli impegati pubblici e privati – 22,5% – e gli operai, 10%. Cioè, più o meno la stessa platea di redditi a cui parla la legge di stabilità che così potrebbe incrociare circa un terzo degli elettori del Pd.

E per aprirsi ai nuovi voti, questa volta c'è anche il taglio Irap (2,7 miliardi nel 2015 e 4 nel 2016) così come la decontribuzione per i neo-assunti mentre per i piccoli e piccolissimi imprenditori, artigiani e commercianti, il regime agevolato delle partite Iva funzionerà un po' come gli 80 euro in busta paga per i dipendenti. Una finestra su nuovi elettori per cercare di consolidare quei consensi arrivati, in parte, a maggio. L'unico intoppo è l'Europa. A fine novembre la Commissione Ue darà il suo giudizio sulla legge di stabilità e il rischio è la richiesta di nuove correzioni. A Bruxelles si sta ancora trattando, l'esito non è scontato.

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