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Questo articolo è stato pubblicato il 12 novembre 2014 alle ore 06:40.

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ROMA
Dovrebbe essere Alessandro Criscuolo il nuovo presidente della Corte costituzionale, in sostituzione dell'uscente Giuseppe Tesauro. Il voto è fissato per stamattina e sarà come sempre segreto, quindi non si possono escludere sorprese. Anche perché parteciperanno all'elezione i tre nuovi giudici Daria De Petris, Nicolò Zanon e Silvana Sciarra, scelti, i primi due, dal Presidente della Repubblica e, la terza, dal Parlamento. Inoltre, poiché la Corte sembra sempre più orientata ad abbandonare il criterio – non scritto – dell'anzianità di servizio, o comunque a non sentirsi ad esso vincolata, di fatto tutti i giudici sono potenziali candidati alla corsa per la presidenza. Tant'è che negli ultimi giorni è circolato insistentemente anche il nome di Giorgio Lattanzi (giudice eletto in Cassazione) che avrebbe davanti un mandato pieno di 3 anni, come prevede la Costituzione (sia pure solo come limite massimo, salvo la conferma successiva), poiché il suo mandato di giudice scade a dicembre del 2019. Il neoletto dovrà a sua volta nominare un vice poiché, quando il presidente cessa dalla carica, stessa sorte tocca al numero due (attualmente Paolo Maria Napolitano).
Il criterio dell'anzianità vedrebbe come favorito proprio il "giudice anziano" Napolitano, consigliere di Stato eletto dal Parlamento nel 2006 su indicazione del Centrodestra, che rimarrebbe in carica nove mesi. Lo seguono – per anzianità – l'avvocato Giuseppe Frigo, eletto sempre dal Parlamento su indicazione del Centrodestra, ma a ottobre del 2008, e Alessandro Criscuolo, magistrato scelto dalla Cassazione a novembre dello stesso anno. Per questi ultimi due la presidenza avrebbe quindi la durata di tre anni, o poco meno. Da questa terna dovrebbe uscire il nuovo numero uno della Consulta. I boatos del Palazzo danno per favorito Criscuolo, che per un solo voto (il suo) la volta scorsa non riuscì ad essere eletto. Se, com'è probabile, chi lo votò nello scorso giugno farà altrettanto anche stavolta, Criscuolo avrebbe già sei voti certi su 14. Se se ne aggiungessero due dei tre nuovi giudici che ieri hanno giurato al Quirinale, la spunterebbe su Napolitano. Sempre che non venga scavalcato da Lattanzi.
Al di là delle ricorrenti polemiche, non c'è dubbio che la funzionalità della Corte risenta di presidenze brevi, che non consentono una programmazione dei lavori di largo respiro. Perciò il criterio dell'anzianità scricchiola, soprattutto se applicato in modo rigido.
Tra le questioni politicamente più sensibili che la Corte affronterà nei prossimi mesi c'è quella sul cosiddetto decreto Severino, sollevata dal Tar Campania nella vicenda del sindaco di Napoli Luigi De Magistris, sospeso dopo una sentenza del Tribunale di Roma che lo ha condannato per abuso d'ufficio. In base al decreto (che ha dato attuazione alla legge 190 sull'anticorruzione) la condanna di primo grado fa scattare la sospensione dall'incarico, misura ritenuta dal Tar incostituzionale in relazione sia al principio della presunzione di non colpevolezza fino a sentenza definitiva sia a quello della parità di trattamento, visto che per deputati e senatori la "sanzione" della decadenza scatta solo con la sentenza definitiva. Il Tar contesta anche la retroattività della norma sulla sospensione, cioè la sua applicazione a fatti verificatisi prima dell'entrata in vigore del decreto Severino. E questo è il punto più delicato perché, sia pure con riferimento alla decadenza, è stato contestato anche da Silvio Berlusconi alla Corte europea dei diritti dell'uomo. Quindi la decisione della Consulta, seppure riguardante un'altra fattispecie, è destinata a pesare politicamente. Giorni fa Tesauro si è augurato che il legislatore intervenga prima della Corte. Così vorrebbe il premier Matteo Renzi (senza toccare, però, la retroattività) ma ancora non è stato trovato lo strumento idoneo a introdurre la modifica in tempi relativamente brevi. Certo è che se una correzione fosse portata in Parlamento, la decisione della Consulta (che secondo Tesauro dovrebbe arrivare in 6-7 mesi) potrebbe slittare in attesa dell'approvazione, allontanando così il rischio di una censura al decreto Severino, con tutte le polemiche che ne seguirebbero.
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