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Questo articolo è stato pubblicato il 12 novembre 2014 alle ore 18:33.
L'ultima modifica è del 13 novembre 2014 alle ore 09:22.

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Come un criceto che gira senza posa in una ruota. Senza trovare via d’uscita. La situazione attuale dell’Italia non è lontana da questa metafora. Basti pensare che la scure della Commissione europea incombe nuovamente sui conti pubblici italiani. L’Italia, nonostante si avvii a chiudere l’ennesimo anno in avanzo primario di bilancio (che diventa poi deficit includendo gli interessi passivi pagati sul debito) rischia un “early warning” (un’ammonizione). Ma la domanda è, di questo passo dove andrà l’Italia? È evidente che si trova a un bivio: la crescita continua a non arrivare (cinque anni su sette in recessione, di cui tre consecutivi) mentre nello sforzarsi di compiere i compitini europei e rispettando parametri che mezza Europa invece non rispetta continua a pagare dazio sulla crescita, non corroborata da stimoli fiscali.

Dopo la Grecia l’Italia è il Paese che ha pagato di più la crisi
Osservando la crisi dell’Eurozona ad ampio raggio, e cioè dal 2007 (anno in cui sono scoppiati i primi focolai) il quadro che emerge è allarmante. Tra i 18 Paesi dell’Eurozona l’Italia è il Paese che ha perso più di tutti (se si esclude la Grecia che ha visto crollare il Pil reale del 23%): il Pil reale italiano è diminuito dell’8,7% (segue Cipro con -7,5%).

L’Italia è quello che ha azionato meno la leva del deficit per ripartire
Dai dati si possono ricavare altre considerazioni. Tra i Paesi che sono stati colpiti dagli attacchi speculativi l’Italia è quello che durante la crisi ha fatto meglio di tutti i compitini a casa e cioè é tra quelli che ha generato meno deficit/Pil (26% cumulato dal 2007 al 2014 secondo i calcoli e le stime del Fondo monetario internazionale). Per fare un confronto la Grecia ha generato una spesa a deficit del 65%, l’Irlanda dell’80%, la Spagna del 56%, il Portogallo del 46%. Insomma, i Pigs hanno cercato di rilanciare la crescita utilizzando molto più dell’Italia la leva fiscale (deficit governativo). E anche la Francia (da molti considerato il nuovo malato d’Europa) ha fatto più deficit dell’Italia per reagire alla crisi (38% del Pil).

In termini nominali il debito pubblico italiano è cresciuto meno di tutti
I dati evidenziano un altro spunto di riflessione eclatante, in linea con i precedenti. Dal 2007 lo stock di debito nominale italiano (in termini percentuali) è aumentato del 33%, in linea con l’aumento della Grecia e meno di quello della Germania (+ 34%). Quello irlandese è cresciuto del 332%, quello spagnolo del 166%. Il debito di Cipro è raddoppiato, lo stock a leva del governo francese è cresciuto del 65%. Ciò significa che Italia e Grecia hanno praticato austerità più di tutti gli altri Paesi e l’Italia ancora di più se si considera che nel frattempo ha generato meno deficit della Grecia. Allo stesso tempo, pur facendo aumentare meno di tutti il debito, il debito/Pil italiano è balzato dal 103% del 2007 al 136%. Questo semplicemente perché nel frattempo è crollato il Pil, che è al denominatore e spinge in alto il rapporto. Ancora una volta, leggendo questi numeri, viene da domandarsi: come si fa a spingere quasi esclusivamente su politiche mirate alla riduzione del debito e non su politiche che possano stimolare la crescita del Pil e, di conseguenza, la riduzione del rapporto debito/Pil?

I Pigs ripartono, l’Italia no
Nel 2014 il Pil di Portogallo, Grecia, Spagna e Irlanda crescerà, in particolare grazie al traino delle esportazioni. Per carità, leggendo il dato più in profondità si tratta di una crescita non molto sana (perché nasconde pericolosi squilibri esterni come evidenziato dalla posizione finanziaria netta, dal saldo di partite correnti e dal forte debito privato di questi Paesi, numeri ben peggiori di quelli italiani). Tuttavia il Pil è girato in positivo e dovrebbe incrementare anche nel 2015. Quanto all’Italia, invece, il 2014 si chiuderà ancora in recessione (terzo anno di fila) mentre Moody’s stima per il 2015 una crescita 0. Anche questi numeri richiamano all’interrogativo di fondo: è possibile, alle condizioni attuali e in assenza di una politica monetaria e fiscale europea ad hoc per i singoli Paesi, riprendere la strada della crescita senza allo stesso tempo sfondare, come hanno fatto tutti gli altri Paesi in crisi che sono ripartiti, più deficit di quanto previsto dai trattati?

twitter.com/vitolops

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