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Questo articolo è stato pubblicato il 13 novembre 2014 alle ore 09:10.
L'ultima modifica è del 13 novembre 2014 alle ore 16:15.

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Jacob Lew (Ap)Jacob Lew (Ap)

«Il mondo non si può permettere un decennio perduto in Europa». Con queste dure parole il segretario americano al Tesoro, Jack Lew, lancia un atto d’accusa alle politiche economiche adottate dall’Unione europea negli ultimi anni, ritenute insufficienti a far uscire il continente dalla sindrome giapponese di una stagnazione unita a deflazione.

In un discorso alla vigilia del vertice dei capi di Stato e di Governo del G-20, che si tiene a Brisbane (in Australia) nel fine settimana, l’esponente di primo piano dell’amministrazione Obama non nasconde tutta la sua frustrazione per la situazione in cui si trova l’area euro. «Le politiche dello status quo in Europa - ha detto durante un intervento al World Affairs Council a Seattle - non hanno raggiunto il comune obiettivo del G-20 di una crescita forte, sostenibile e bilanciata. La Bce ha intrapreso azioni decise per sostenere l’economia con politiche accomodanti. Ma questo da solo non è bastato a riportare una crescita sana. Un’azione risoluta da parte delle autorità nazionali ed europee è necessaria per ridurre il rischio che la regione subisca un vero e proprio crollo. Il mondo non si può permettere un decennio perduto in Europa».

Dietro queste frasi c’è tutta l’insoddisfazione americana per la mancata adozione da parte dei governi europei, e in particolare della Germania, di politiche di bilancio espansive. Di questo parleranno sabato e domenica in Australia anche Barack Obama e Angela Merkel, con toni che si annunciano accesi.

«Il mondo - ha accusato Lew - conta sull’economia americana per trainare la ripresa globale. Ma l’economia internazionale non può prosperare solo contando sul fatto che gli Stati Uniti sono gli importatori di prima e ultima istanza, né può sperare che la nostra crescita basti a compensare la debole crescita nelle altre grandi economie mondiali».

La forza relativa degli Stati Uniti rispetto ai concorrenti sta avendo un impatto sui cambi, con il dollaro che si sta apprezzando sull’euro e sulle principali valute dei Paesi emergenti. Anche questo non piace al Governo americano, che teme una frenata delle esportazioni. Anche la caduta del prezzo del petrolio in prospettiva può creare problemi alla fiorente industria dello shale oil, la cui ascesa sta coronando il sogno americano dell’indipendenza energetica e in prospettiva può farne un esportatore netto.

La ricetta suggerita da Lew è un mix di politiche monetarie, fiscali e di riforme strutturali per rendere più competitive le economie. A questo proposito, il ministro americano ha osservato come anche il Giappone abbia rallentato gli sforzi di cambiamento. Delle tre frecce di Abe (monetaria, fiscale e riforme) «le prime due - ha detto Lew - hanno contribuito a una crescita più forte nel 2013, ma quest’anno il Governo ha fatto passi indietro sul fronte fiscale (con l’aumento dell’Iva, ndr) e la terza freccia non è stata attuata pienamente».

Nessun riferimento esplicito alla Germania, ma è noto che la politica del Governo Merkel, fatto di indebitamento a zero e di un ampio surplus commerciale con l’estero, non soddisfa Washington. Il timido piano da 10 miliardi di euro di investimenti pubblici annunciato dal ministro Schaeuble a partire dal 2016 è evidentemente troppo poco per gli Usa.

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