Storia dell'articolo
Chiudi

Questo articolo è stato pubblicato il 18 novembre 2014 alle ore 06:37.

My24


MILANO
A guardare i bilanci delle Regioni, la «protezione della natura e dei beni ambientali» vale come le indennità di consiglieri e assessori: 1,1 miliardi all'anno, cioè lo 0,6% delle uscite totali; ancora meno conta la gestione delle foreste (758 milioni), di acquedotti e fognature (830 milioni), mentre per cercare voci di peso bisogna volgere gli occhi agli acquisti (7 miliardi all'anno) oppure al personale (6 miliardi).
Guardare i bilanci, in verità, non è di grande aiuto, perché i conti regionali si basano su regole fai da te che non permettono confronti fra un territorio e l'altro (dovrebbe rimediare la riforma della contabilità, in vigore dall'anno prossimo). Una bussola utile (da cui sono tratti i numeri appena citati) è però offerta dalla Copaff, la commissione che avrebbe dovuto accompagnare l'attuazione del federalismo fiscale, prima che questo fosse travolto dalla crisi, e che ha riclassificato i bilanci regionali 2009-2012 per voci omogenee. Lette oggi, con mezza Italia in ginocchio per le conseguenze del maltempo e il dibattito politico infiammato dalle accuse incrociate fra livelli di Governo, quelle tabelle parlano chiaro.
La protezione dell'ambiente, si diceva, nei quattro anni esaminati dalla Copaff ha finito per eguagliare i costi di giunte e consigli. Per incontrarsi, le due voci hanno percorso direzioni opposte: l'impegno per l'ambiente è andato in discesa, dagli 1,8 miliardi del 2009 agli 1,1 del 2012 (-39%; e lo stesso è accaduto alle foreste, -19%, e ad acquedotti e fognature, -58%), mentre le spese per la politica sono crescite del 26 per cento.
Certo, negli ultimi due anni le "Regionopoli" e la cura-Monti che ne è seguita hanno iniziato ad alleggerire i costi della politica, ma non hanno rimediato al ruolo secondario che la tutela e la cura del territorio ha nei conti regionali. Le colpe, va detto, sono ben distribuite, visto che la confusa distribuzione delle competenze uscita nel 2001 dalla riforma "federalista" del Titolo V assegna la «tutela dell'ambiente» alla legislazione esclusiva dello Stato, mentre mette fra le «competenze concorrenti» fra centro e Regioni il «governo del territorio» oltre alla «valorizzazione dei beni ambientali»: compiti, questi ultimi, che hanno ricadute a livello provinciale e comunale, e anche su questo aspetto i bilanci regionali preoccupano.
Alla base c'è un decennio abbondante di "federalismo" giocato tutto sulla spesa corrente, quella che serve prima di tutto a far funzionale la macchina regionale, e sulle tasse per finanziarle, che nello stesso periodo sono passate da 47 a oltre 81 miliardi. A questa rincorsa tra fisco e spesa pubblica non hanno partecipato però gli investimenti. Per capirlo basta passare sotto esame le serie storiche dell'Istat (si veda il grafico qui a sinistra), dove il fenomeno balza all'occhio: tra 2001, anno di tramonto del vecchio "centralismo", e 2012 (ultimo anno disponibile nelle elaborazioni dell'Istituto di statistica) la spesa corrente in Regione è cresciuta del 39,7%, cioè 3,2 volte l'inflazione del periodo, mentre quella per gli investimenti è diminuita dell'11,3%. La flessione è stata ancora più intensa nei contributi agli investimenti dei Comuni (-22,1%), che a loro volta hanno tagliato drasticamente i fondi propri anche a causa del Patto di stabilità. Mentre un'incognita pesa sulle Province, anch'esse titolari di funzioni nel governo del territorio: la manovra taglia drasticamente i fondi per spingere ad attuare la riforma Delrio, ma nelle regioni la redistribuzione delle competenze deve ancora essere avviata con il rischio che anche queste gestioni restino prive di titolari.
gianni.trovati@ilsole24ore.com
© RIPRODUZIONE RISERVATA

Commenta la notizia

Shopping24

Dai nostri archivi