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Questo articolo è stato pubblicato il 18 novembre 2014 alle ore 06:37.
L'ultima modifica è del 18 novembre 2014 alle ore 10:35.

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La competenza concorrente delle Regioni in materia di infrastrutture e territorio, in seguito alla modifica del Titolo V della Costituzione nel 2001, ha prodotto la lievitazione della lista delle "grandi opere" strategiche, il diffuso aumento di costo dei singoli progetti, il blocco di una serie di specifici progetti, una babele di regole in materia urbanistico-edilizia.

In materia di grandi opere l'effetto più evidente degli ultimi dieci anni è nella lista della legge obiettivo. Nel 2001 erano 120 opere prioritarie nazionali, per un valore di 125 miliardi di euro, ma negli anni l'elenco è via via salito fino a 403 opere per 375 miliardi di euro di costo. Le Regioni hanno imposto ai vari governi di inserire via via nuovi interventi, e il programma della legge obiettivo è finito per diventare di fatto inutile: troppe priorità, nessuna priorità. Una china certo non sufficientemente contrastata dai vari governi, e che ha prodotto oggi di fatto la mancanza di un vero piano di priorità, con decisioni che si prendono caso per caso al Cipe e nelle varie leggi di finanziamento.

Ma la legge obiettivo ha prodotto un altro effetto. Le Regioni, in forza del Titolo V, hanno di fatto un elevato potere nel far inserire nelle delibere Cipe modifiche di tracciato, prescrizioni, opere compensative. Non esistono studi che quantifichino il fenomeno, ma prendiamo ad esempio il caso della tratta ad alta capacità ferroviaria Verona-Padova: il progetto Rfi del 2003 è stato contestato dal Comune di Vicenza e dalla Regione Veneto, che hanno poi imposto un diverso tracciato, con attraversamento in sotterranea e costo aumentato da 2.630 a 4.483 milioni di euro.

Altro caso l'autostrada Tirrenica: nel 2002-2004 la Toscana bloccò il tracciato costiero proposto dall'allora ministro delle Infrastrutture Pietro Lunardi. Quel progetto si rivelò comunque, nel tempo, di difficile realizzabilità, e da allora i vari governi e la Regione hanno sempre scelto la condivisione dei progetti, seppure spesso con una dialettica "ruvida". Oggi l'opera è bloccata perché il piano economico-finanziario, con la crisi, non regge più.

L'autostrada Valdastico Nord, il prolungamento a Nord della A31, da Vicenza fino a Trento, è da vent'anni osteggiato dalla Provincia autonoma di Trento, per motivi di impatto ambientale e di scelta prioritaria per le ferrovie. Il Cipe del 10 novembre ha deciso per la prima volta di attivare la procedura speciale per scavalcare la mancata intesa con una Regione: l'ultima parola spetterà al Consiglio dei ministri

Negli ultimi 14 anni, a partire dalla programmazione Ue 2000-2006, sempre più ampio ruolo è stato affidato alle Regioni nella definizione e gestione dei programmi con fondi strutturali, con risultati quasi unanimemente negativi. Da Monti in poi gli sforzi degli ultimi tre governi sono stati di rafforzare vigilanza e poteri di revoca dello Stato, da una parte, e dare più ruolo al governo nella programmazione. In questi giorni ha debuttato l'Agenzia della Coesione, con lo Sblocca Italia Palazzo Chigi ha potere di riprogrammazione dei piani bloccati, nei piani 2014-2020 una quota più rilevante di risorse sarà gestita dallo Stato.

Nel caso del dissesto idrogeologico è più la mancanza di chiarezza su poteri e governance ad aver prodotto lo stallo. Nel 2009 vengono stanziati due miliardi per un piano straordinario anti-dissesto, definito in accordo Stato-Regioni e poi affidati a commissari di governo. Progetti fatti male, vincoli del Patto di stabilità, scarso coordinamento tra ministero dell'Ambiente, commissari e Regioni, una catena di poteri e responsabilità poco chiare ha prodotto il blocco, con solo il 22% dei cantieri avviati. Da aprile opera la task force di Palazzo Chigi che coordina i presidenti di Regione, resi commissari di governo con il Dl 91/2014, e con potere di revoca dei fondi da parte del Ministero dell'Ambiente.

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