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Questo articolo è stato pubblicato il 18 novembre 2014 alle ore 06:37.
MILANO
Tre condoni tombali spalmati lungo un ventennio, decine di decreti legge poi decaduti, o semplicemente "tentati" decreti legge, oltre a ripetuti emendamenti alle più svariate normative (preferibilmente ai Milleproroghe).
La storia recente delle sanatorie in materia edilizia è davvero esemplificativa della politica di gestione del territorio e dell'edilizia privata, ma anche illuminante su ciò che è stata l'imposizione tributaria sul mattone abusivo: in tre tappe, tra il 1985 e il 2004 l'erario ha incassato, in rivalutazione attuale, l'equivalente di 16 miliardi.
In compenso la percentuale di abusivismo nel settore costruzioni non solo non scende, ma continua a viaggiare ogni anno tra il 10 e il 15% dell'edificato. Secondo alcuni osservatori si tratta dell'effetto inevitabile della politica condonistica che, per quanto ufficialmente ferma da dieci anni esatti, periodicamente riemerge come un fiume carsico tra le iniziative di qualche parlamentare.
E quando non è lo Stato a legiferare in materia, ci pensano le regioni: caso emblematico la Campania che, con la legge 16 del 2014, consente di riaprire le pratiche dei condoni edilizi del 1985 e del 1994 rimaste bloccate, allarga le maglie per la possibilità di sanatoria in zona rossa del Vesuvio e consente anche di sanare gli ampliamenti in base alla legge sul Piano casa (per inciso, il 6 ottobre scorso il Governo ha impugnato questa legge davanti alla Corte Costituzionale, di cui ora si attende la pronuncia).
L'esordio del condonismo data 28 febbraio 1985, quando la legge n. 47 del governo Craxi disegna un quadro normativo sull'edilizia "provvisorio", ma che ha come maggiore conseguenza di ammettere al condono tutti gli abusi realizzati fino al 1° ottobre del 1983. Secondo dati Cresme, l'effetto annuncio del primo condono avrebbe provocato l'insorgere - nel solo biennio 1983/4 - di 230.000 manufatti abusivi, mentre quelli realizzati fra il 1982 e tutto il 1997 sarebbero stati 970.000.
A riaprire i termini del condono, meno di due lustri dopo, è la legge 23/12/1994 n. 724 (primo governo Berlusconi), intitolata significativamente "Misure di razionalizzazione della finanza pubblica". La 724 spalanca le porte della precedente legge 47/1985, estendendola agli abusi realizzati fino al 31/12/1993. Nel biennio successivo si contano 14 decreti, (l'ultimo fu il Dl 495/1996) tutti decaduti per mancata conversione in legge e tutti contenenti una norma, un richiamo, anche solo un riferimento alla sanatoria edilizia. La raffica di decreti cessa solo quando la Corte Costituzionale (sentenza 360 dell'ottobre del 1996) stabilisce l'illegittimità della prassi di reiterare all'infinito le decretazioni d'urgenza facendone poi salvi gli effetti.
L'ultima sanatoria ex lege risale al 24 novembre 2003 (ancora Berlusconi) con la conversione del decreto 30 settembre n. 269, "Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell'andamento dei conti pubblici".
Dieci anni dopo l'ultimo colpo di spugna l'abusivismo è tutt'altro che finito, anche se non è più più ai livelli degli anni '80 quando le abitazioni abusive realizzate toccavano punte del 28,7% sul totale del costruito (nel 1984, prima del primo condono, 435mila abitazioni realizzate di cui 125mila abusive). Negli anni '90 scendono i dati assoluti ma non le percentuali (83mila case abusive su 281mila, il 29,6%, nel 1994, anno del secondo condono edilizio). Nel 2010, quando si ricorda un tentativo di irruzione della sanatoria nel Milleproroghe, si calcolano abusive 27mila abitazioni su 229mila, cioè l'11,8%, l'anno successivo 26mila su 213mila.
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