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Questo articolo è stato pubblicato il 19 novembre 2014 alle ore 13:06.
La Turchia, sempre meno laica e lontana dal suo fondatore Ataturk, mostra ancora una volta il volto di un Paese conservatore insofferente della modernità dei social network. Secondo l'Islam è sbagliato condividere fotografie personali sui social media. A lanciare l'allarme non è un'organizzazione qualunque ma la potentissima Direzione affari religiosi (Diyanet) di Ankara, massima autorità in materia di questioni religiose nel paese della Mezzaluna, che risponde direttamente all'ufficio del primo ministro e giudica così in modo negativo la pubblicazione di foto con la propria immagine su Facebook e sugli altri social. Un messaggio da non sottovalutare per le sue ripercussioni politiche e sociali.
«È sconveniente, per la religione, che una persona esponga la propria privacy su piattaforme virtuali e la condivida con altre persone», scrive Diyanet sul proprio mensile. Secondo le indicazioni religiose, rilanciate dal quotidiano Haberturk, «le persone dovrebbero stare attente rispetto a questo pericolo. Bisogna pregare Dio per evitare i peccati e occuparsi di cose più utili. Le amicizie andrebbero formate in base a questo (principio, ndr)». Il Dyanet fu la prima autorità del mondo musulmano che intervenne contro il discorso di papa Ratzinger tenuto a Ratisbona sulla violenza nel mondo dell'Islam che portò a un violento scontro tra Vaticano e mondo islamico che finì solo dopo un viaggio riparatore dello stesso pontefice in Turchia. Ora alla vigilia di nuovo viaggio del pontefice Francesco si riapre una polemica questa volta con la modernità in senso lato.
Il Diyanet aggiunge sempre sul tema dei social network che uomini e donne hanno lo stesso diritto a usare Internet, ma che le persone devono proteggere le loro vite, sottolineato che vivere in base alla moralità e allo stile di vita islamico è importante per un musulmano. L'indicazione di Diyanet rispetto ai social media è stata accolta in modo ambivalente dai religiosi in Turchia. L'ex Mufti di Istanbul, il professore Abdulaziz Bayindir, si è ad esempio mostrato d'accordo. «Nessuno ha il diritto di esporre le vite degli altri. Abbiamo solo un consiglio per chi condivide la propria privacy: non fatelo, è sbagliato. Ma alla fine spetta a loro decidere», ha dichiarato.
Diversa la posizione del docente dell'Università di Ankara Haydar Kirbasoglu che si è chiesto se ci siano motivazioni politiche dietro alle indicazioni di Diyanet, mentre il giornalista Ayse Sucu ha detto che per l'autorità religiosa turca è da considerare peccaminoso anche quando un uomo e una donna si tengono per mano.
Non è la prima volta che il governo dell'Akp, partito islamico conservatore, entra in conflitto con la modernità dei social network, soprattutto dopo le proteste di Gezi Park e tra la fine di dicembre 2013 e gennaio 2014 quando sui siti venivano pubblicati articoli, commenti o video contro le politiche del governo nel corso della cosiddetta tangentopoli turca che portò alle dimissioni di quattro ministri in carica tra cui quello delle relazioni con l'Europa e alla perdita di un terzo del valore della lira turca. In quell'occasione l'allora premier oggi presidente della repubblica Erdogan parlò di un complotto internazionale guidato dal suo ex alleato Fetullah Gulen. In quei giorni l'esecutivo minacciò di bloccare Twitter e Facebook per ritorsione contro campagna antigovernative che usavano la rete dei social network.
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