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Questo articolo è stato pubblicato il 20 novembre 2014 alle ore 17:05.
L'ultima modifica è del 20 novembre 2014 alle ore 18:29.

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La rivoluzione è da così tanto annunciata che non la si può certo attribuire al Rottamatore. Più ancora della tracciabilità dei pagamenti, la lotta al contate è una misura da decenni annunciata da diversi governi, ma il pressing dei vari inquilini di Palazzo Chigi è stato quanto meno timido, se è vero che l'Italia resta nettamente dietro agli altri paesi europei per utilizzo di strumenti digitali di pagamento. Lotta al contate e tracciabilità dei pagamenti sono d'altronde due modi di definire un'altra battaglia storica proclamata dai palchi elettorali e dai salotti televisivi: quella contro l'evasione fiscale, che “vale” secondo alcune stime almeno 90 miliardi di euro. Una cifra che sfugge al Fisco non troppo distante da quanto paga ogni anno il Tesoro di interessi sul debito pubblico ai sottoscrittori di titoli di Stato (circa 80 euro).

Anche per questo il tema è stato al centro dei dibattiti dei renziani sin dalla prima Leopolda. E non è un caso che ieri il ministro dell'Economia Pier Carlo Padoan abbia ribadito in audizione che l'eccessivo uso del contante costa allo Stato 8 miliardi di euro l'anno, lo 0,5% del Pil (in realtà è di più visto che il nostro prodotto interno lordo sta scendendo). Ma qual è il gap tra Italia e Europa? Le statistiche dicono che l'82% delle transazioni nel BelPaese vengono effettuate tramite contante, contro il 67% della media Ue, segnando una crescita delle operazioni del 2,9% tra il 2011 e il 2012 (dati dell'10th World Payment Annual Report di CapGemini e Rbs).

Le ragioni sono state indagate da una ricerca realizzata l'anno scorso Swg per Sia (Società interbancaria per l'automazione) e che evidenzia timori molto viscerali sulla materia e poco razionali: il 27% teme il furto della carta, il 23% teme di perder il controllo delle proprie finanze, mentre un altro 21% semplicemente non si fida del digitale e preferisce il fruscìo delle banconote. Una diffidenza quasi incomprensibile se poi si confrontano i numeri dei reati finanziari di cui gli italiani restano vittime; o l'attrazione per il tech-esotico come il Bitcoin.

Di certo la diffusione dei pagamenti elettronici e digitali sta crescendo più su impulso tecnologico che in relazione all'introduzione di obblighi normativi: le prospettive di crescita dei pagamenti via smartphone sono impressionanti, il che la dice sulle resistenze italiche all'innovazione (e sul misoneismo nostrano). Di certo c'è che non c'è tempo da perdere: perché se la crisi offre come da proverbio opportunità, dall'altra rappresenta una potenziale tagliola da cui è difficile sfuggire. La Grecia, da cui ci affrettiamo a smarcarci negli ultimi anni, registra una riduzione dei pagamenti digitali negli ultimi anni. Perché è inevitabile con l'avvitarsi della recessione il ricorso al nero.

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