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Questo articolo è stato pubblicato il 20 novembre 2014 alle ore 20:20.
L'ultima modifica è del 20 novembre 2014 alle ore 21:05.

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CASALE MONFERRATO - Un corteo spontaneo, un'ordinanza del sindaco Titti Palazzetti firmata questa mattina, presto, per decidere il lutto cittadino, le saracinesche dei negozi abbassate.

Casale Monferrato ha reagito così alla sentenza della Corte di Cassazione che ieri ha annullato la condanna a 18 anni inflitta dal tribunale di Torino, in appello, a Stephan Schmidheiny. Il reato di disastro ambientale è prescritto, hanno detto i giudici della Suprema corte. Lo era già dopo la sentenza di primo grado, nel 2012.

L'impianto costruito dalla Procura di Torino, dal pool del sostituto procuratore Raffaele Guariniello, con le prime indagini avviate a inizio Duemila, confermate dalle sentenze di primo e di appello, non ha retto il terzo grado di giudizio. La Cassazione ha respinto l'idea che il reato di disastro ambientale possa definirsi permanente, nonostante la grave contaminazione ambientale provocata e i gravissimi problemi sulla salute.

«Avrebbero dovuto vedere in quali condizioni i vertici Eternit hanno lasciato lo stabilimento di Casale - dice Assunta Prato, una delle animatrici dell'Afeva, l'Associazione dei familiari delle vittime - per capire che non finivano lì, le loro responsabilità».

Luciano Bortolotto, sindacalista della Cisl di Casale Monferrato era ieri a Roma, per aspettare la sentenza dei giudici. «È stato un colpo incredibile, che non ci aspettavamo. È dagli anni Settanta che lavoriamo per denunciare i rischi per la salute all'Eternit». Rischi che sono oggi più attuali che mai. «Cresce il numero di chi si ammala a Casale, supereremo i 60 morti. Sento di uno o due ammalati a settimana», dice Bertolotto.

Il mesotelioma è il cancro che non lascia scampo. «Ormai gli ex lavoratori sono pochi, chi si ammala - aggiunge - è, nove volte su dieci, un cittadino. Gente che non è mai entrata nello stabilimento».

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