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Questo articolo è stato pubblicato il 22 novembre 2014 alle ore 08:12.

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In una giornata tranquilla il cambio euro/dollaro si muove di circa 20 pips (unità di misura delle oscillazioni delle valute, ultima cifra su quattro decimali). L'oscillazione di ieri - tutta a vantaggio del biglietto verde - è stata di 180 pips. Ergo, non è stata una giornata tranquilla nelle sale operative del Forex, il mercato dei cambi che ogni giorno smuove volumi per 5mila miliardi di dollari, di cui il 40% è indirizzato proprio sul cambio euro/dollaro.
Così come le Borse, anche le valute hanno ieri iniziato a prezzare uno scenario in cui la Banca centrale europea possa annunciare già nel prossimo meeting del 4 dicembre un quantitative easing (allentamento monetario) in stile americano, cioè arricchito anche dall'acquisto di titoli di Stato (da aggiungere a quello già avviato di titoli privati). Nuova moneta immessa dall'istituto di Francoforte che ovviamente avrebbe l'effetto immediato di svalutare l'euro. E così è stato (i mercati si sono mossi in anticipo su questo scenario). Se in mattinata con un euro si potevano acquistare 1,256 dollari, in serata con quello stesso euro in cambio non se ne ottenevano più di 1,238. Il Dollar Index - che misura l'andamento del dollaro su paniere di sei valute, diversamente ponderate (euro 57,6%, yen 13,6%, sterlina 11,9%, dollaro canadese 9,1%, corona svedese 4,2%, franco svizzero 3,6%) - è balzato a 88,4 punti, top da giugno 2010. E questo nonostante ieri lo yen si sia apprezzato (anche sul dollaro) dopo che il ministro delle Finanze Taro Aso ha sentenziato che il deprezzamento della divisa giapponese nelle scorse settimane è stato troppo rapido. La discesa dell'euro potrebbe dare una spinta all'inflazione che nell'Eurozona a ottobre si è attestata su un timido 0,4%, lontanissima dalla soglia obiettivo della politica monetaria della Bce «inferiore ma vicina al 2%». E se è vero - come dice Draghi che un apprezzamento del 10% del cambio euro/dollaro può comportato una diminuzione del tasso d'inflazione di 0,4/0,5 punti percentuali - un rispettivo deprezzamento potrebbe avere analoghi effetti rialzisti sul costo della vita.
«La flessione dell'euro potrebbe proseguire se i dati macro sull'inflazione preliminare di Germania ed Eurozona in arrivo la settimana prossima dovessero confermare un rallentamento più veloce di quanto previsto per l'economia europea - spiega Vincenzo Longo, strategist di Ig-. Se la Bce annunciasse davvero un quantitative easing con acquisto di titoli di Stato l'euro potrebbe scivolare anche a 1,21 dollari. Di questo passo, non è da escludere che a metà del prossimo anno, in concomitanza con un rialzo dei tassi negli Usa, l'euro potrebbe scendere a 1,16 dollari, lo stesso livello del 2005». Questo il trend che trova un'ulteriore conferma dal recente aumento di emissioni di obbligazioni corporate in dollari (emesse sia da società europee che da società Usa).
Non va poi dimenticato che la svalutazione dell'euro è legata a doppio filo con l'ipotesi di un rafforzamento di Piazza Affari. «Credo che il Ftse Mib possa salire oltre i 20mila punti entro fine anno e l'euro a 1,2 dollari. Entrambe le direzioni andranno di pari passo», sottolinea Massimo Siano Head of Southern Europe per EtfSecurities. Il rafforzamento del dollaro dovrebbe spignere in ribasso il petrolio e le materie prime scambiate con il biglietto verde. È quanto accaduto nelle ultime settimane, manon ieri quando abbiamo assistito a un rimbalzo del petrolio in scia all'ipotesi di una riduzione della produzione che potrebbe essere annunciata il 27 novembre dai Paesi Opec. Ma nei prossimi mesi, con il probabile rafforzamento del dollaro, per il petrolio sarà difficile evitare ulteriori cali.
@vitolops
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