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Questo articolo è stato pubblicato il 24 novembre 2014 alle ore 07:44.
L'ultima modifica è del 24 novembre 2014 alle ore 15:07.

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I festeggiamenti di Mario Oliverio, dopo il successo alle elezioni regionali della Calabria. ANSAI festeggiamenti di Mario Oliverio, dopo il successo alle elezioni regionali della Calabria. ANSA

Ora per Oliverio – che riceve in dote una Regione attraversata da scandali, nomine incomprensibili, enormi difficoltà contabili, un numero elevato di dirigenti e settori chiave, come quello della sanità e del welfare che assorbono oltre il 50% del bilancio, preda di appetiti insani – comincia il difficile. Un'arrampicata in una regione che, secondo i rapporti Eurostat di aprile e Svimez di luglio, è in caduta libera, oltre che in coda a tutti gli indicatori occupazionali e reddituali: tasso di disoccupazione al 22,2% (contro una media Ue del 10,8% e nazionale del 12,2%), che tra i giovani sale al 56,1% e Pil pro capite di 15.989 euro (la media italiana è di 25.475 euro).

La maggioranza da saldare
La sua è stata una vittoria largamente annunciata, così come l'alto tasso di astensione (che nel 2010 fu del 40,73%, questa volta del 55,93%) ma per governare probabilmente non gli basterà il premio di maggioranza che gli assegnerà il 55% dei seggi, vale a dire 17 consiglieri su 30. Con una maggioranza così, per Mario Oliverio, amministrare sarà impossibile o possibile solo a costo di stare costantemente sotto schiaffo. Basterebbero due cambi di casacca (lo sport più praticato nella politica calabrese) e lo stallo obbligherebbe ad una continua trattativa politica con la minoranza.

Oliverio ha vinto ma sa che la Calabria, quest'anno, ha avuto il suo “11 settembre” politico. Quel giorno fu approvata la legge elettorale che oltre alla soglia del premio di maggioranza prevede lo sbarramento dell'8% dei voti per le coalizioni e del 4% per le singole liste. Per governare potrebbe essere costretto a cedere alle manovre di chi, con la scusa che a Roma Renzi sta con Alfano, perora il caldo abbraccio con l'Ncd di Nico D'Ascola, l'altro candidato governatore uscito sconfitto.

I blocchi di potere
Il rischio dello stallo manderebbe in tilt i sistemi di potere che non tollerano l'instabilità politica. Troppi gli affari in corso o da lanciare, a partire da quelli con i finanziamenti statali ed europei. Non si sa quanti ne pioveranno ancora in regione (la valanga di quattrini finora spesi è servita solo per arricchire l'elite e desertificare le aree industriali) ma la responsabile nazionale per il Mezzogiorno del Pd, la deputata cosentina Stefania Covello, figlia di Franco, ex senatore Dc e re delle tessere a cavallo degli anni Novanta, l'11 novembre ha annunciato che nel Sud da qui al 2020, solo dalla Ue, arriveranno 200 miliardi. La torta è ricchissima e i sistemi criminali – vale a dire quella miscela esplosiva fatta di ‘ndrangheta, massoneria deviata, servitori dello Stato corrotti e professionisti infedeli – sono sempre in filigrana.

Oltre alla sfide della trasparenza amministrativa, della cura dimagrante per la politica e per gli enti e società di sottogoverno, della lotta spietata alla burocrazia e ai sistemi criminali che tendono ad affiorare in controluce ovunque ci sia anche un solo centesimo da spendere, Oliverio, in un bilancio che si aggira ogni anno sui 10,3 miliardi, dovrà trovare le risorse per rilanciare l'economia e, di conseguenza, facilitare l'ingresso nel mondo del lavoro dei giovani, che da qui continuano ad emigrare a frotte ogni anno.

Il porto di Gioia Tauro
Nel corso della campagna elettorale – durante la quale i principali candidati sono stati più impegnati a perorare il voto per i fedelissimi che a illustrare i programmi, come sempre pieni di sogni – tutti hanno sproloquiato di sviluppo economico e formazione (per i quali le poste nell'ultimo bilancio erano di 800 milioni a fronte dei 5 miliardi per sanità e welfare) e del porto di Gioia Tauro, l'eterna incompiuta infrastrutturale. Tutti sperano, calabresi e no, che dalle parole si passi ai fatti.

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