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Sanzioni, petrolio, rublo: la nuova era glaciale dell'economia russa

In una Russia sempre più lontana dall'Occidente, la crisi nata in Ucraina si è abbattuta sull'economia, ridotta alla stagnazione, forse addirittura a quella che qualcuno ha chiamato “glaciazione”

1. La nuova era glaciale russa / Doppio colpo da sanzioni e petrolio

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Il calo del petrolio, ha ammesso il ministro delle Finanze Anton Siluanov, può costare alla Russia fino a 100 miliardi di dollari all'anno; le sanzioni provocano invece perdite per 40 miliardi. Ma accanto a questo, le grandi ragioni del rallentamento russo sono interne, e antiche: ferite che Mosca si è inferta da sola. Un'economia alimentata dai consumi che – percorrendo la strada opposta a quella della Cina – dovrebbe affidarsi agli investimenti come nuovo motore della crescita. Le analisi degli economisti ripetono che dopo il boom dei primi 10 anni di Putin al potere, la spinta propulsiva del passaggio dall'Urss al libero mercato si è esaurita, e ora richiederebbe riforme. «Il grande successo di Putin – spiega Yves Zlotowski, capo economista di Coface, l'agenzia francese di assicurazione all'export - era stato riattivare i meccanismi di ridistribuzione dei guadagni di gas e petrolio. Grazie all'aumento dei prezzi del greggio e al boom dei “nuovi” settori come la distribuzione, i servizi finanziari e l'edilizia, a partire dal 2001 il reddito reale della popolazione ha cominciato a crescere stabilmente». Traducendosi nel grande boom dei consumi. Ma ora, invece di investire e costruire fabbriche per tornare ad alimentarlo, i capitali fuggono.

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