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Questo articolo è stato pubblicato il 25 novembre 2014 alle ore 13:02.
L'ultima modifica è del 25 novembre 2014 alle ore 13:34.

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(Ap)(Ap)

Quando Giovanni Paolo II parlò dallo stesso scranno era il 1988, il muro di Berlino già scricchiolava, ma i blocchi erano ancora il simbolo di un ordine mondiale di fatto immutato dalla fine della guerra. L'Europa era il centro di questo ordine, così come lo erano ancora le sue economie nazionali. E Karol Wojtyla era il simbolo stesso di questo ordine, che più di ogni altro nella storia ha contribuito a cambiare. L'Europa e la sua storia comunque al centro di un pontificato globalizzato, che su quello successivo di Benedetto XVI ha spinto un'onda lunga.

Ma l'arrivo a Strasburgo del Papa argentino, figlio di migranti partiti dall'Europa, segna anche simbolicamente il passaggio di un'epoca. È lo stesso Francesco nel suo discorso all'emiciclo a dirlo chiaramente: il mondo è sempre più interconnesso, e perciò sempre meno eurocentrico: «A un'Unione più estesa, più influente, sembra però affiancarsi l'immagine di un'Europa un po' invecchiata e compressa, che tende a sentirsi meno protagonista in un contesto che la guarda spesso con distacco, diffidenza e talvolta con sospetto».

Un concetto che il Papa torna ad affrontare con parole ancora più incisive: «Da più parti si ricava un'impressione generale di stanchezza e d'invecchiamento, di un'Europa nonna e non più fertile e vivace». Chi parla non è un euroscettico qualsiasi, ma il Capo della Chiesa cattolica, che nella Vecchia Europa ha affondato per secoli la sua forza. E lui, primo Papa non europeo dopo dodici secoli e il primo latino americano, dice tra le righe, ma chiaramente che le formule che si stanno adottando per uscire insieme dalla crisi e affrontare le sfide della globalizzazione, dalle migrazioni ai diritti umani fino al mantenimento della pace, non sono più efficaci.

Bergoglio non fornisce certo delle ricette pratiche né tantomeno sottopone dei “piani”, ma indica una strada ideale, parla di «dignità trascendente dell'uomo», concetto capace di tenere il tutto e declinare valori che stanno alla base anche di ricette economiche, che ora più che mai devono tenere conto della tutela dell'ambiente, un capitolo centrale dell'agenda papale (e che sarà oggetto di una prossima enciclica). Scelte coraggiose, quindi, che guardino lontano, come seppero fare all'indomani della guerra i padri europeisti. Bergoglio nel marzo di un anno fa fu eletto in un momento in cui la Chiesa - e soprattutto la Curia romana - era in profonda crisi: la sua elezione ha rappresentato una svolta improvvisa che ha cambiato di colpo la prospettiva a un miliardo e più di cattolici, in quel momento in buona parte smarriti.

In qualche modo Francesco a Strasburgo sta dicendo questo: l'Europa deve uscire dalle logiche che l'hanno condizionata nella sua evoluzione recente e tornare a credere in sé stessa, nei suoi valori, riscoprendo anche le sue radici religiose. Già perchè anche questo è un tema che il Papa non ha voluto tacere: in un contesto di forte secolarizzazione del continente Francesco parla dei valori, che come tali non possono essere catalogati tra negoziabili e non, secondo un modello che ha condizionato la politica in Italia nel ventennio della secondo repubblica, schema che ormai lo stesso Bergoglio ha spazzato via. Nel mondo di oggi, ha detto, «l'essere umano rischia di essere ridotto a semplice ingranaggio di un meccanismo che lo tratta alla stregua di un bene di consumo da utilizzare, come nel caso dei malati terminali, degli anziani abbandonati e senza cura, o dei bambini uccisi prima di nascere».

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