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Questo articolo è stato pubblicato il 25 novembre 2014 alle ore 20:32.
L'ultima modifica è del 25 novembre 2014 alle ore 20:39.

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Non è paragonabile a una bocciatura di un’agenzia internazionale ma è comunque un segnale da non sottovalutare. Il gruppo tedesco Metro AG ha deciso di dire addio ad Atene e di cedere le sue attività in Grecia, dalla società Cash-and-Carry alla catena locale di supermercati Sklavenitis, una decisione che è inserita nel piano complessivo del gruppo di concentrarsi sui principali mercati. La vendita comprende nove negozi all'ingrosso per un valore di 65 milioni di euro.

La filiale greca di Metro, la Cash-and-carry locale, era stata lanciata nel 1992 e ha generato un fatturato di 301 milioni di euro nel 2012/13. Sklavenitis, l’acquirente, è uno dei principali rivenditori greci , con circa 110 negozi che ha realizzato un fatturato di 1,2 miliardi di euro nel 2013. Metro, il quarto maggior retailer in Europa, con 2.200 punti vendita in 31 paesi, sta rivedendo la sua strategia cercando di concentrarsi sui suoi punti vendita di elettronica di consumo e negozi cash-and-carry in mercati chiave.

La decisione di Metro di lasciare Atene segue quella di Carrefour, il gigante della grande distribuzione francese, che decise nel giugno 2012 di lasciare il mercato greco perché troppo poco remunerativo. Dopo Carrefour anche la banca francese Crédit Agricole decise di vendere senza indugi la sua filiale locale Emporiki che aveva i conti in profondo rosso.

Metro ha annunciato recentemente l'intenzione di uscire anche dal mercato danese, dove le sue società Cash & Carry all'ingrosso hanno registrato conti in rosso per diverso tempo. Lo scorso agosto la società tedesca ha deciso di cedere i suoi Cash & Carry in Vietnam. Ora è la volta della Grecia considerata un mercato poco promettente a causa delle dure politiche di austerità varate dal governo.

Ma per il paese mediterraneo questa continua fuga di investitori stranieri non è certo un segnale incoraggiante nonostante gli ultimi dati macroeconomici parlino di un’uscita dalla recessione con un Pil in crescita dello 0,6% nel 2014 dopo aver perso però il 25% del Pil in sei anni.

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