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Questo articolo è stato pubblicato il 26 novembre 2014 alle ore 09:06.

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Il candidato alla presidenza della regione Calabria per Forza Italia e Fratelli d'Italia-Alleanza nazionale, WandaFerro, vota a Catanzaro, 23 novembre 2014 (Ansa)Il candidato alla presidenza della regione Calabria per Forza Italia e Fratelli d'Italia-Alleanza nazionale, WandaFerro, vota a Catanzaro, 23 novembre 2014 (Ansa)

Un seggio che, seppur assegnato, rischia di rimanere fantasma ancora per molto tempo.
Che Wanda Ferro, di Forza Italia, entri o meno nel consiglio regionale calabrese, come lei stessa rivendica per essere risultata il miglior candidato Governatore “sconfitto”, non risolverà infatti il giallo di una legge regionale, che ancora una volta, in Calabria, sembra fatta apposta per confondere, lasciare le poltrone politiche a mezzo servizio e incitare ai ricorsi giudiziari.

Legge costituzionale
La vicenda merita di essere raccontata partendo dalla legge costituzionale 1/99 che ha previsto una norma transitoria: fino a che le Regioni non avessero legiferato in materia elettorale, anche il candidato presidente sconfitto ma con la più alta percentuale di consenso sarebbe entrato in consiglio.
Così è stato anche in Calabria: quando nel 2000 le elezioni furono vinte da Giuseppe Chiaravalloti, lo sconfitto Nuccio Fava divenne consigliere e così accadde nel 2005 quando a vincere fu Agazio Loiero e Sergio Abramo entrò in consiglio e poi per lo stesso Loiero quando nel 2010 a trionfare fu Giuseppe Scopelliti.
Ebbene: il 12 settembre di quest'anno la Calabria ha votato una legge che avrebbe abrogato l'ingresso di diritto in consiglio per il primo tra i candidati sconfitti nella corsa alla presidenza. Se preferite possiamo chiamarlo il secondo piazzato che, fino a parola contraria, rappresenta o dovrebbe rappresentare pur sempre un leader della minoranza.

Condizionale d'obbligo
Il condizionale sull'abrogazione dell'ingresso del secondo miglior “piazzato” è d'obbligo – e qui la storia comincia a ingarbugliarsi come solo in questa regione può accadere – perché ognuno interpreta quella (presunta) abrogazione a proprio uso e consumo.
Wanda Ferro, leader di un pezzo di centrodestra che ha raccolto il 23,6% dei voti (si è presentata nella coalizione che comprendeva Forza Italia, Casa delle libertà e Fratelli d'Italia), rivendica il suo diritto di entrare in consiglio per esercitare il ruolo di capo dell'opposizione e, cosa che da queste parti non guasta mai, la butta anche in bagarre politica. «In questo momento l'unico problema del Nuovo centro destra – ha dichiarato con una nota diffusa due giorni fa urbi et orbi – sembra essere il mio ingresso o meno in consiglio regionale. Ripeto quello che mi è stato detto da esperti che hanno studiato l'argomento: nessuna specifica modifica è intervenuta sulla legge elettorale calabrese. In tutte le Regioni d'Italia, inoltre, vige il rispetto della norma costituzionale che lo prevede, anche quando la legge regionale non si è espressa, per cui il secondo candidato alla presidenza è sempre di diritto consigliere regionale. I miei avversari politici vorrebbero che la Calabria ancora una volta diventasse un caso nazionale, estromettendo dall'assemblea regionale chi ha ricevuto un consenso ampio per rappresentare la voce della minoranza sancita dalla Costituzione».

Fratelli e coltelli
In effetti proprio l'Ncd, vale a dire l'altra parte del centrodestra che qui ha corso divisa, lacerata e livorosa, attraverso la voce del senatore Giovanni Bilardi si era espressa nei seguenti termini: «Nella nuova legge elettorale non si scorge traccia dell'assegnazione del seggio al primo presidente sconfitto. Invito il segretario generale del consiglio regionale a prendere nota ufficialmente di quanto diciamo e a esprimersi».
E qui la storia diventa scaricabarile: ben sapendo che la Corte d'appello di Catanzaro, al massimo entro la prossima settimana, emetterà il suo verdetto con la proclamazione ufficiale degli eletti, il segretario generale non si è mosso di un millimetro e non ha investito della questione l'ufficio legislativo che, pure, qualche idea se la sarà nel frattempo fatta.

Corsi e ricorsi
Il bello (si fa per dire) è che neppure il via libera o il diniego dei giudici della Corte d'appello all'ingresso (o meno) di Wanda Ferro in consiglio regionale porrà fine alla vicenda che, inevitabilmente, si avviterà ancor più su se stessa.
Qualunque sarà la decisione della Corte è facile prevedere ricorsi al Tar e poi al Consiglio di Stato. In attesa delle decisioni passeranno mesi, forse anni (se la querelle dovesse finire davanti alla Corte costituzionale, poi, ogni previsione temporale salterebbe) con un vuoto (per non chiamarlo ferita) per la democrazia difficile da riempire.
Chi risarcirebbe (e come) il diritto negato ad occupare lo scranno del candidato Governatore escluso e poi eventualmente riammesso in consiglio? E come dovrebbe essere giudicata la legittimità del lavoro svolto dal consiglio al cui interno è stato ospitato un incolpevole collega “abusivo” entrato al posto del legittimo avente diritto? E quale giudizio si potrebbe dare sull'opposizione eventualmente privata del leader a causa di una interpretazione normativa resa difficile da una legge elettorale lineare come un labirinto?
Domande che resteranno, qualunque sarà la proclamazione degli eletti, a lungo in attesa di risposta, a meno che qualcuno non faccia volontariamente un passo indietro.
r.galullo@ilsole24ore.com

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