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Questo articolo è stato pubblicato il 28 novembre 2014 alle ore 13:05.
L'ultima modifica è del 28 novembre 2014 alle ore 21:28.
Il prezzo del petrolio oggi a 71 dollari al barile e cinque anni fa a 150 dollari potrebbe far mettere nel cassetto i sogni di indipendenza della Groenlandia dalla casa madre danese. Le richezze provenienti dal petrolio erano considerate il mezzo principale con cui gli abitanti della Greoenlandia, l’isola più grande del mondo, avrebbero potuto comprare l’indipendenza da Copenhagen.
Ma oggi lo shale gas ha messo al tappeto emiri, oligarchi russi e i sogni indipendentisti della Groenlandia, un’isola che torna oggi alle urne pensando soprattutto all’economia e ai vantaggi di essere nell’Unione europea in momenti di crisi e di crescenti tensioni geopolitiche, piuttosto che stare da soli in balia dei venti.
L’isola va al voto per scegliere il successore di Aleqa Hammond, travolta da uno scandalo che in settembre ha provocato il dissolvimento dell’esecutivo che guidava: l'uso a fini personali di 14 mila euro statali che sarebbero stati utilizzati dai suoi familiari per pagare alberghi, cene e voli. Lei, leader di uno dei due maggiori partiti dell’isola, Siumut (Avanti), ha lasciato l’incarico senza accusare complotti internazionali o magistratura inquirente e ora 58 mila esquimesi sono chiamati a rinnovare i 31 membri della Dieta (il parlamentino locale) e un nuovo governatore.
La campagna elettorale si è concentrata su alcuni temi fondamentali, come la difesa dell’ambiente, le prospezioni minerarie, mentre il consueto tema dell'indipendenza dalla Danimarca è passato in secondo piano rispetto ai temi economici. Il destino della Groenlandia è una questione che interessa l’intera Unione europa perché oggi l’isola fa parte, attraverso la Danimarca, dell’Ue che così estende i suoi confini molto avanti nelle regioni artiche, con conseguenze militari e di controllo dei giacimenti nascosti sotto i ghiacci.
Molti lettori italiani ricorderanno “Il senso di Smilla per la neve”, un libro di successo di Peter Høeg pubblicato da Mondadori nel 1992, un giallo ambientato fra la Danimarca e la Groenlandia da cui è stato tratto un film, un testo che parlava proprio dei ghiacci dell’isola e dei tesori naturali nascosti sotto la coltre di neve e del rapporto tra equimesi e governo centrale danese.
Territorio autonomo del Regno di Danimarca, la Groenlandia dispone di una vasta autonomia senza avere l'indipendenza in politica estera e di difesa; l'argomento è stato sempre al centro delle rivendicazioni politiche della regione ma questa volta, complici la crisi economica globale e i temi delle ricchezze dell'Artico che fanno ormai gola a molte potenze, Cina in primis, è passato in secondo piano. O meglio è stato messo nel cassetto secondo il parere del professor Ulrik Pram Gad dell'Università di Copenaghen, raccolto dall’Ansa, che ha dichiarato ai giornali: «Non è ancora la fine del nazionalismo, ma questa volta il tema è la politica economica, gli investimenti stranieri, la diversificazione del portafoglio nazionale». Insomma decidere il proprio futuro senza strappi e fughe in avanti demagogiche o populiste.
Tra le ricchezze dell’isola artica possimo elencare le ricche royalties delle rotte artiche, la navigazione, la caccia alle balene,la controversa ricerca dell'uranio. La Groenlandia, ”verde terra” secondo i vikinghi che gli diedero il nome, possiede sotto la coltre dei ghiacci eterni che ne racchiudono la ricchezza, risorse che fanno gola come oro e petrolio, terre rare e uranio. La sua seconda ricchezza è la pesca e uno dei concorrenti al voto, Kim Kielsen nuovo leader di Siumut, tra gli slogan ha utilizzato il seguente motto: «Un pesce in ogni rete». L'altro partito di una certa popolarità, che secondo gli ultimi sondaggi potrebbe insidiare Siumut, è Inuit Atakqatigiit, guidato da Sara Olsvig, che ha messo al centro della campagna una svolta in politica economica: oltre al tradizionale impegno per estrarre dal sottosuolo le ricchezze minerarie, la Groenlandia dovrebbe sapere - sostiene - che «il petrolio e i minerali non salveranno l'economia», ma occorre sviluppare tra l'altro il turismo, una nuova politica ambientale. Il paese sta invecchiando - i giovani tendono ad andare a studiare in Danimarca e a restarci per le maggiori opportunità di lavoro che la “casamadre” offre - e la necessità di diversificare l'economia è ormai impellente, così come - al pari di molti paesi nordici - ridistribuire il reddito tra ricchi e poveri e aree rurali e la capitale, Nuuk. Secondo Jacob Janussen della Commissione groenlandese di autodeterminazione, «il paese ha bisogno di un maggior numero di imprese private».
Insomma una campagna dai toni pacati e senza più le bellicose intenzioni indipendentiste: gli ultimi sondaggi dicono che c'è la possibilità che chi vincerà (che sia Kielsen o la Olsvig) debba piegarsi ad un governo di coalizione il cui ago della bilancia potrebbe diventare il partito populista Naleraq, creato dall'ex primo ministro Hams Enoksen all'inizio dell'anno. Ma è il prezzo del petrolio in calo il convitato di pietra di queste elezioni, una variabile che non dipende dalla Groenlandia né dai suoi elettori.
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