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Questo articolo è stato pubblicato il 28 novembre 2014 alle ore 17:13.
L'ultima modifica è del 29 novembre 2014 alle ore 10:49.

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(LaPresse)(LaPresse)

I deputati della minoranza del Pd, che qualche giorno fa non hanno votato per il Jobs Act uscendo dall’Aula, voteranno invece a favore della legge di Stabilità. La decisione è stata annunciata questa mattina da Stefano Fassina, esponente di punta della minoranza, nel corso della riunione del gruppo Pd tenutasi questa mattina a Montecitorio. Si fa più agevole quindi per la maggioranza il primo passaggio parlamentare della manovra, da questa mattina all’ordine del giorno della Camera: conclusa la discussione generale seguita dalla replica del governo, l’assemblea ha approvato il ddl Bilancio. Il ministro delle Riforme Boschi ha quindi posto l’attesa questione di fiducia sui tre maxiemendamenti al ddl Stabilità come uscito dalla commissione Bilancio. La conferenza dei capigruppo è convocata per le 18.30 per stabilire il calendario dei lavori.

Fassina: decisiva l’approvazione di emendamenti della minoranza
Fassina ha spiegato il sostanziale “passo indietro” della minoranza riconoscendo l’importanza del lavoro svolto dalla Commissione Bilancio che ha approvato anche alcuni emendamenti proposti dalla stessa minoranza, come quello che concentra le risorse del bonus bebè sulle famiglie più povere, o quello sulla quota di cofinanziamento dei fondi strutturali sud per il Sud. Inoltre Fassina ha detto che il Senato la minoranza ripresenterà alcuni emendamenti, come quello che blocca l' aumento dei contributi per le partite Iva. L'esponente della minoranza ha ricordato che «c'è ancora un passaggio importante in Senato”, dove il governo si è impegnato ad approvare altri emendamenti: solo dopo allora sarà possibile “una valutazione complessiva». Tuttavia in Aula arriverà il sì alla legge di stabilità: il non voto sul Jobs Act, ha spiegato, ha espresso il giudizio complessivo negativo sulla politica economica del governo.

Morando (Economia): entro 2018 pressione fiscale come la Germania
Il governo conta di «portare la pressione fiscale sulle imprese e sul lavoro al livello della Germania, rinunciando per questo ogni anno «a 36 miliardi di gettito». A fare i conti con gli obiettivi di palazzo Chigi è il viceministro dell'Economia, Enrico Morando, che replicando in Aula alla Camera al dibattito sul Ddl di stabilità ha parlato di una «strategia precisa» che vede «nel 2015 18 miliardi di riduzione della pressione fiscale sul lavoro e sull'impresa». Siamo ancora «molto lontani» dai 36 miliardi di minor gettito, ma - ha sottolineato - 18 miliardi «sono metà della strada. Entro il 2018 diventa credibile il conseguimento dell'obiettivo strategico» di pareggiare la pressione fiscale con la Germania.

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