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Questo articolo è stato pubblicato il 30 novembre 2014 alle ore 13:13.
L'ultima modifica è del 30 novembre 2014 alle ore 13:17.

Un appello al mondo per combattere “la globalizzazione dell'indifferenza” che circonda gli ultimi del mondo, chi soffre la fame e l'esclusione sociale, ma anche le vittime delle troppe guerre che ancora si combattono. Dalla sede del patriarcato ortodosso di Costantinopoli, dove ha celebrato una funzione insieme a Bartolomeo I, Papa Francesco – dalla città-ponte tra due continenti, simbolo di divisioni ma anche di dialogo e convivenza- fa sentire la sua voce diretta a est e ovest.
“Nel mondo, ci sono troppe donne e troppi uomini che soffrono per grave malnutrizione, per la crescente disoccupazione, per l'alta percentuale di giovani senza lavoro e per l'aumento dell'esclusione sociale, che può indurre ad attività criminali e perfino al reclutamento di terroristi. Non possiamo rimanere indifferenti di fronte alle voci di questi fratelli e sorelle. Essi ci chiedono non solo di dare loro un aiuto materiale, necessario in tante circostanze, ma soprattutto che li aiutiamo a difendere la loro dignità di persone umane, in modo che possano ritrovare le energie spirituali per risollevarsi e tornare ad essere protagonisti delle loro storie”. Bisogna lottare contro le cause strutturali della povertà: la disuguaglianza, la mancanza di un lavoro degno, della terra e della casa, la negazione dei diritti sociali e lavorativi.
“Siamo chiamati a sconfiggere insieme quella globalizzazione dell'indifferenza che oggi sembra avere la supremazia e a costruire una nuova civiltà dell'amore e della solidarietà”. Poi le vittime della guerre: “Alcune nazioni vicine sono segnate da una guerra atroce e disumana” dice riferendosi al conflitto in Siria e Iraq. “La voce delle vittime dei conflitti ci spinge a procedere speditamente nel cammino di riconciliazione e di comunione tra cattolici ed ortodossi”.
E infine i giovani: “Oggi purtroppo sono tanti i giovani che vivono senza speranza, vinti dalla sfiducia e dalla rassegnazione. Molti giovani, poi, influenzati dalla cultura dominante, cercano la gioia soltanto nel possedere beni materiali e nel soddisfare le emozioni del momento”.
Parole che hanno accompagnato quelle dirette agli ortodossi, molto forti e significative nel cammino per un riabbraccio con i cristiani separati da Roma dai tempi dello scisma. “Ritengo importante ribadire il rispetto di questo principio come condizione essenziale e reciproca per il ristabilimento della piena comunione, che non significa né sottomissione l'uno dell'altro, né assorbimento, ma piuttosto accoglienza di tutti i doni che Dio ha dato a ciascuno. Voglio assicurare a ciascuno di voi che, per giungere alla meta sospirata della piena unità, la Chiesa cattolica non intende imporre alcuna esigenza, se non quella della professione della fede comune, e che siamo pronti a cercare insieme, alla luce dell'insegnamento della Scrittura e dell'esperienza del primo millennio, le modalità con le quali garantire la necessaria unità della Chiesa nelle attuali circostanze”.
E alla fine ribadisce a Bartolomeo che “siamo già in cammino verso la piena comunione e già possiamo vivere segni eloquenti di un'unità reale, anche se ancora parziale. Questo ci conforta e ci sostiene nel proseguire questo cammino”.
Alla fine la firma di una dichiarazione comune, che fa seguito a quella già siglata a Gerusalemme a maggio. Nel testo, tra l'altro un chiaro riferimento al conflitto e alla persecuzione: “Esprimiamo la nostra comune preoccupazione per la situazione in Iraq, in Siria e in tutto il Medio Oriente. Siamo uniti nel desiderio di pace e di stabilità e nella volontà di promuovere la risoluzione dei conflitti attraverso il dialogo e la riconciliazione. Riconoscendo gli sforzi già fatti per offrire assistenza alla regione, ci appelliamo al contempo a tutti coloro che hanno la responsabilità del destino dei popoli affinché intensifichino il loro impegno per le comunità che soffrono e consentano loro, comprese quelle cristiane, di rimanere nella loro terra natia. Non possiamo rassegnarci a un Medio Oriente senza i cristiani, che lì hanno professato il nome di Gesù per duemila anni. Molti nostri fratelli e sorelle sono perseguitati e sono stati costretti con la violenza a lasciare le loro case. Sembra addirittura che si sia perduto il valore della vita umana e che la persona umana non abbia più importanza e possa essere sacrificata ad altri interessi”. Prima di ripartire il saluto ad una cinquantina di ragazzi allievi dei Salesiani, molti dei quali profughi provenienti dalla Siria.
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