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Questo articolo è stato pubblicato il 01 dicembre 2014 alle ore 08:30.

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Le elezioni giapponesi del 2013 (Afp)Le elezioni giapponesi del 2013 (Afp)

TOKYO – Italia, Giappone e Corea del Sud hanno in comune qualcosa di ben poco invidiabile: leggi elettorali incostituzionali. La culla europea del diritto condivide con la seconda e la quarta economia asiatica sistemi di voto dichiarati illegittimi dalle rispettive magistrature supreme.

Anche Tokyo e Seul, insomma, hanno la loro versione del “Porcellum” che mal si concilia con la Carta fondamentale della nazione. Mentre la Corte Costituzionale italiana, verso la fine dell'anno scorso, ha sottolineato l'irragionevolezza e sperequazione del meccanismo di concessione di un ampio premio di maggioranza - oltre all'antidemocraticità delle liste bloccate -, in Giappone e in Corea del Sud le Corti Supreme hanno contestato la disparità eccessiva del peso specifico del voto tra elettorato urbano e rurale: una versione moderna del secolare contrasto tra città e campagne.

Il voto dell'elettorato che vive in una affollata area metropolitana conta varie molte meno di quello di chi risiede in distretti periferici in via di spopolamento. La decisione della Corte Costituzionale coreana è molto recente (fine ottobre), mentre Roma e Tokyo mostrano in modo analogo la lentezza dei legislatori eletti in modo sostanzialmente incostituzionale nel procedere alla necessaria riforma del sistema da cui scaturisce la rappresentanza parlamentare. Sono situazioni certamente imbarazzanti sul piano politico, all'interno e all'estero. E non manca in tutti e tre i Paesi chi parla di “deficit democratico”.

Il Porcellum giapponese
Il Paese dove la questione si è fatta più grave è il Giappone, dove domani inizia ufficialmente la campagna elettorale per le elezioni anticipate della Camera Bassa il 14 dicembre. Il 20 novembre dell'anno scorso la Corte Suprema dichiarò che le elezioni per la Camera Bassa del dicembre 2012 (che portarono al potere Shinzo Abe) erano da considerarsi incostituzionali a causa delle disparità di voto tra campagna e città, fino a un massimo di 2,43 a 1 (peraltro nel 2011 la Corte Suprema aveva dichiarato la stessa cosa per le elezioni del 2009 che portarono al potere il Partito Democratico, quando il gap era di 2,3 a 1). Nel marzo dell'anno scorso, l'Alta Corte di Hiroshima si era addirittura pronunciata in modo barricadero, dichiarando proprio nulle e invalide le elezioni del 2012 nei distretti ricadenti sotto la sua giurisdizione.

Una vera riforma elettorale non è stata fatta, anche se sono stati tagliati 5 seggi (portando il totale da 480 a 475) che erano assegnati in circoscrizioni di campagna. Il tema è ridiventato di attualità perché proprio settimana scorsa la Corte Suprema ha dichiarato in stato di incostituzionalità le elezioni per la Camera Alta che si sono svolte l'anno scorso, quando il differenziale massimo tra votanti era addirittura di 4,77 a 1: quattro dei 15 giudici hanno anzi espresso l'opinione che quelle elezioni andrebbero dichiarate incostituzionali tout court e uno di loro ha dichiarato che andrebbero giuridicamente invalidate. In Giappone non c'è un bicameralismo perfetto: la Camera Bassa conta più di quella Alta e le elezioni per i due rami della Dieta si tengono separatamente. Anche nel caso della Camera Alta, dopo varie pronunce anche di Corti minori, si è proceduto solo a piccoli aggiustamenti cosmetici, che secondo l'ultima decisione della Corte Suprema non bastano a far ritenere non violato il principio di uguaglianza e fanno invece permanere una situazione di distorsione nella rappresentanza parlamentare (estensibile dunque per analogia al sistema con cui si voterà il 14 dicembre)

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