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Questo articolo è stato pubblicato il 01 dicembre 2014 alle ore 08:28.

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CHIBA – Dopo l'incidente nucleare di Fukushima Daiichi, in molti si erano chiesti come mai, nella nazione che si vanta di essere leader nella robotica, non fossero immediatamente disponibili vari robot in grado di agire immediatamente nella centrale disastrata per svolgere molte funzioni precluse ai tecnici dagli alti livelli radioattivi. Non che non siano stati utilizzati, ma non subito e con risultati inferiori alle aspettative, almeno di quelle di noi “profani” che tendiamo ad aspettarci miracoli dalle tecnologie. Nel post-Fukushima molte risorse addizionali sono state dedicate alla costruzione di avanzati robot in grado di operare negli edifici di centrali nucleari danneggiate.

Il centro di eccellenza per questo tipo di ricerche e applicazioni è il Future Robotics Technology Center (FuRo) del Chiba Institute of Technology, vicino a Tokyo. Nel suo sito, il laboratorio di ricerca segnala che l'acronimo “FuRo” e' ispirato a una antica parola italiana che significa vita o esistenza (per la verità, il Dizionario dell'Accademia della Crusca segnala che furo significa “ladro”...).

Nato nel 2003, il FuRo riuscito a sviluppare, sotto la guida di Takayuki Furuta, una serie di robot dalle caratteristiche uniche e negli ultimi anni si è concentrato specificamente nella creazione di robot non solo per situazioni di disastro, ma specificamente per le centrali nucleari. A Fukushima Daiichi il primo robot del FuRo a entrare è stato nel giugno 2011 “Quince” - frutto di un progetto congiunto con la Tohoku University e supportato dal Nedo, varato nel 2005 - dal design specifico per operare dopo incidenti chimici, biologici o nucleari in sostituzione degli esseri umani. All'interno dell'edificio 2 della centrale, la situazione era ancora ignota: il robot è entrato per misurare la radioattività e prendere foto, salendo e scale di metallo fino al 5 piano o scendendo fino al secondo piano sotterraneo, controllato da una posizione remota e sicura. Movimenti letteralmente al buio, in un ambiente senza elettricità né finestre e pieno di detriti. Quince è poi tornato varie altre volte, anche negli edifici 1 e 3, mentre al FuRo progettavano miglioramenti in relazione alle esigenze manifestatesi.

Il risultato _ spiega lo scienziato Tomoaki Yoshida - sono state versioni più avanzate del robot, che hanno anche preso nomi diversi, come Sakura e Rosemary: i più avanzati esemplari sono Sakura 1 (la cui tecnologia è stata concessa in licenza a Nichinan) e Sakura 2 (su cui è stato raggiunto un accordo con Mitsubishi Heavy Industries, che ne costruirà un buon numero).

La Tokyo Electric Power (l'utility di gestione dell'impianto di Fukushima) aveva chiesto un robot che fosse assolutamente resistente all'acqua (per di più contaminata) e in grado di trasportare un carico relativamente pesante di strumenti di misurazione. Il Sakura2 (largo 51 cm, alto 18 e lungo 104 cm) risponde in pieno a queste esigenze: può trasportare attrezzature fino a 50 chili e anche raccogliere o spostare materiali, mentre il suo braccio robotico può essere equipaggiato con una telecamera “wide-angle”. Le batterie gli consentono di operare fino a 8 ore. Il suo sviluppo e costruzione pare sia costato almeno 50 milioni di dollari. Per i tecnici della Tepco, il FuRo ha realizzato anche un “robot rescue simulator” perché si impratichiscano prima di dover affrontare situazioni reali. “Abbiamo introdotti vari miglioramenti in seguito alle indicazioni che gli operatori in situazioni concrete ci hanno dato”, sottolinea Masahiro Sakigawara, manager del FuRo “A volte sembrano relativamente banali, ma possono fare la differenza: ad esempio, il sistema di controllo remoto deve tener conto del fatto che nella centrale si usano vari strati di guanti protettivi”.

In un grande edificio del laboratorio di Chiba, che sembra un vasto magazzino, c'è una replica dell'interno dell'edificio di una centrale, dove sono i robot a impratichirsi – comandati da dispositivi simili a quelli di una console per videogiochi – a scendere e salire le altrui scale. A Fukushima sono stati impiegati circa una quindicina di robot diversi, anche stranieri. Si sono dimostrati indispensabili per compiere operazioni off-limits per gli umani, ma sempre con compiti specifici. Ma l'idea di un robot umanoide che entra in una centrale danneggiata e salva il mondo con la sua intelligenza e alta capacità operativa appare ancora lontana dalla realtà.

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