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Questo articolo è stato pubblicato il 02 dicembre 2014 alle ore 06:36.

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Dalla guerra delle valute a quella del petrolio. Negli ultimi anni le principali banche centrali si sono affannate in politiche espansive che hanno avuto l'effetto di svalutare i rispettivi cambi. Ma adesso, mentre la politica di allentamento monetario in alcuni casi (Usa e Gran Bretagna) si sta placando, a tenere banco è l'andamento del prezzo del petrolio. Da giugno è in continua discesa e non è passato inosservato agli occhi degli investitori il brusco calo (-10%) di venerdì scorso, a ridosso della decisione dell'Opec (l'organizzazione dei principali produttori) di mantenere invariata la produzione (a 30 milioni di barili al giorno) nonostante il forte calo della domanda globale. Le turbolenze del greggio – che a giugno quotava 115 dollari al barile e ieri ha toccato un minimo intraday sotto i 65 dollari, minimo da cinque anni – rischiano di rimodellare le scelte di investimento e di allocazione dei portafogli in questo ultimo scorcio dell'anno e nel 2015 alle porte. Anche perché la maggior parte degli esperti ipotizza che il prezzo del petrolio continuerà a volare basso, e molto al di sotto della media degli ultimi quattro anni (103 dollari al barile) anche per i prossimi 12 mesi. «Lo scenario più probabile è quello di un petrolio intorno ai 60 dollari al barile, almeno per la prima metà del prossimo anno», spiega Francesco Previtera, responsabile dell'equity research di Banca Akros-Esn. C'è chi si spinge addirittura a quota 40. Scenario che – secondo Jonathan Barratt, di Ayers Alliance Securities – si verificherebbe in caso di forte sfiducia nelle prospettive economiche oltre a una continua guerra dei prezzi. In ogni caso, la «guerra del petrolio» tra Opec e Usa (che con lo shale gas ora producono il 65% di petrolio in più rispetto a cinque anni fa) e che coinvolge anche la Russia dovrebbe mantenere alta la turbolenza nel petrolio anche per i prossimi mesi. A questo punto, chi ci guadagna e chi ci perde?
Le banche d'affari stanno tagliando i prezzi obiettivo delle azioni delle principali società petrolifere. Da giugno la capitalizzazione delle prime 100 società al mondo di settore è scesa da 3.182 miliardi di euro a 2.900. L'indice Stoxx Europe 600 Oil & Gas europeo ha ceduto il 18% da giugno. Secondo Credit Suisse «quotazioni del greggio più basse dovrebbero portare le società del settore ad effettuare minori investimenti». Si stima un taglio del Capex di circa il 5% su base annua. Bisogna poi fare molta attenzione alle società statunitensi attive nel settore dello shale gas. Grazie al credito facile molte di queste compagnie hanno speso più di quanto guadagnassero. La discesa del petrolio sta facendo scendere i ricavi di queste società che negli ultimi anni sono vistosamente cresciute con la leva del debito. Il rischio è che scoppi una bolla. Ma c'è anche chi sorride. Le compagnie aeree hanno beneficiato nelle ultime sedute del mancato taglio della produzione dell'Opec e del recente e proluganto deprezzamento del greggio. I big del settore - come sintetizzato dall'indice Stoxx Europe 600 Travel and Leisure - sono saliti del 20% da metà ottobre. «Da monitorare poi anche il settore dell'agricoltura che potrebbe beneficiare nei prossimi mesi dato che un calo del petrolio fa scendere il costo dei fertilizzanti e aumenta i margini per le società», sottolinea Previtera.
Sorvegliato speciale anche il mercato delle valute. Il calo del petrolio spinge il dollaro (valuta in cui è scambiato) legato in modo inversamente proporzionale alle quotazioni del greggio. Il biglietto verde ha toccato nuovi massimi sul rublo (nonostante la Banca centrale russa nell'ultimo mese abbia speso 7 miliardi per sostenere la divisa russa). Ma ci sono pressioni ribassiste anche su corona norvegese (che ha toccato il minimo degli ultimi cinque anni), dollaro canadese e dollaro australiano. Forti esportatori di petrolio che rischiano nei prossimi mesi di dover rivedere al ribasso le politiche fiscali. Di conseguenza, anche i prezzi (per via dell'effetto cambio) delle obbligazioni governative di questi Paesi rischiano di ballare. Quanto all'euro, va detto che il calo del greggio spinge i Paesi europei ad importare deflazione. Il che in teoria allontana gli obiettivi di politica monetaria della Bce e potrebbe spingere l'istituto di Francoforte ad accelerare i tempi di una immissione monetaria.
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