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Questo articolo è stato pubblicato il 03 dicembre 2014 alle ore 06:37.
L'ultima modifica è del 03 dicembre 2014 alle ore 06:47.

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All’Algeria si possono muovere diverse critiche: si può puntare il dito sulla corruzione, sull’incapacità del Governo di rilanciare un’economia in gravi difficoltà, oppure sul controverso quarto mandato del presidente Abdelaziz Bouteflika, accusato dai suoi oppositori di essere un “presidente quasi a vita”. Ma c’è un incontestabile dato di fatto, che piace molto a chi guarda alla realpolitik prima che al resto: al di là del Marocco - energeticamente irrilevante - l’Algeria è il solo paese della sponda sud del Mediterraneo a non esser stato travolto dal vento delle primavere arabe.

Non è cosa da poco per i paesi europei. Dopo aver assistito impotenti al tracollo del processo di transizione in Libia, un Paese ormai in balia del caos, e sempre più ai ferri corti con la Russia, la cui visione geopolitica è ormai a distanze siderali da quella di Bruxelles, il Paese più esteso dell’Africa si candida a rivestire un ruolo ancor più importante come fornitore energetico strategico dell’Europa in generale, e dell’Italia in particolare. Le sue credenziali sono incontestabili: è il primo produttore africano di gas naturale e il secondo per riserve dopo la Nigeria. Quanto al greggio, ne produce ancora quantità considerevoli, 1,2 milioni di barili al giorno. E secondo la compagnia energetica di Stato, la Sonatrach, due terzi del suo vasto territorio restano in buona parte inesplorati. Il sottosuolo, peraltro, nasconderebbe le terze riserve mondiali di shale gas.

Sono numeri che interessano l’Italia in particolare. Dopo Mosca, Algeri è il secondo fornitore italiano di metano. E se l’anno scorso abbiamo acquistato il 20% del nostro import complessivo, gli anni precedenti da Algeri arrivava anche un terzo delle nostre importazioni. «L’Algeria è un partner energetico storico e strategico per l’Italia – spiega Davide Tabarelli, presidente di Nomisma energia -. Basti pensare che dal 1973 a oggi abbiamo importato più gas da Algeri che da Mosca. Ma l’incapacità dell’Algeria di elaborare politiche energetiche efficienti - e allettanti per le compagnie straniere – al fine di riammodernare il suo settore degli idrocarburi ha provocato una fase di stallo. Le potenzialità sono dunque molto grandi ma in parte si tratta solo di gas virtuale. Il Paese, insomma si sta ingessando». Il cordone ombelicale energetico che tiene unite Roma ed Algeri resta comunque solido.

Rinforzare il rapporto tra i due Paesi giova ad entrambi. All’Italia, e più in generale all’Europa, per garantirsi forniture e alleviare la dipendenza energetica da una Russia ancora indispensabile, ma sempre più lontana sul fronte politico. In quest’ottica, il clamoroso annuncio dell’abbandono russo del progetto southstream, potrebbe riportare in auge il progetto Galsi, un nuovo gasdotto - peraltro molto profondo e costoso - che dovrebbe collegare le coste algerine alla Sardegna (oltre a quello già esistente, il Transmed , che collega i due paesi passando per la Tunisia).

Per l’Algeria è peraltro indispensabile, oltreché urgente, attrarre investimenti e tecnologie stranieri al fine di migliorare la produttività del suo settore energetico, rimpiazzare i suoi giacimenti in declino, e sfruttare quelli nuovi. Non è un periodo facile. Il crollo dei prezzi del greggio è guardato con profonda inquietudine da Algeri. Perché soffre di un male comune a molti Paesi esportatori; la petrodipendenza. Il settore degli idrocarburi rappresenta il 95% dell’export complessivo in valore e il 60% del budget governativo. Nonostante i faraonici piani quinquennali annunciati dal presidente Bouteflika per diversificare l’economia (200 miliardi di dollari in investimenti dal 2005 al 2009 e altri 262 per il quinquennio 2015-2019) i risultati sono stati deludenti.

Il Paese si trova così vulnerabile, in balia del prezzo del petrolio. E se nel 2013 l’export di gas e petrolio ha generato entrate per 63,8 miliardi di dollari (nel 2012 erano stati 70), il 2014, e soprattutto il 2015, potrebbero riservare sorprese amare.

Per un Paese che è stato incapace di sviluppare la propria economia, e che si ostina a importare beni per 50 miliardi di dollari l’anno è un grave problema. Solo i sussidi per i prodotti petroliferi e il gas naturale sono saliti a 22,2 miliardi di dollari nel 2012, vale a dire il 10,7% del Pil. Senza contare che, per centrare il suo budget, nel 2015 avrebbe bisogno di un prezzo del petrolio a 130 dollari al barile. Circa il doppio degli attuali valori.

Ecco perché la diversificazione diviene strategica. E se questo processo dovesse andare a buon fine, l’Italia potrebbe giocare un ruolo decisivo. Per quanto l’interscambio tra i due paesi (14,6 miliardi di dollari nel 2013) sia ancora molto sbilanciato, «nel 2013 – segnala un rapporto della Farnesina - si è registrato un aumento delle nostre esportazioni (+8,71%) e un calo delle importazioni dall’Algeria (-20,12%) il che ha permesso di dimezzare il deficit commerciale, che rimane comunque rilevante (2,57 miliardi di euro). Nel 2013 l’Italia è stato il secondo cliente dell’Algeria (dopo la Spagna) e il terzo paese fornitore (dopo Cina e Francia)». Sono circa 180 le imprese italiane insediate in Algeria, ma gli ultimi dati disponibili (2011) registrano 4.037 imprese italiane esportatrici verso questo Paese (+5% rispetto al 2010). Ecco perché, nonostante la pesante burocrazia e i freni all’iniziativa privata, l’Algeria resta un paese potenzialmente molto interessante. Peraltro è uno dei paesi con il debito pubblico più basso del mondo, e può contare su un volume di riserve in valuta straniera di tutto rispetto: 194 miliardi di dollari alla fine del 2013.

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