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Questo articolo è stato pubblicato il 03 dicembre 2014 alle ore 06:38.
L'ultima modifica è del 03 dicembre 2014 alle ore 12:34.
ROMA - Il ciclone dell’inchiesta «Mafia capitale» arriva su Roma e travolge tutti: politici, in gran parte di destra ma anche di centrosinistra; pubblici amministratori; imprenditori del sottobosco romano; criminali, noti e meno noti, legati a volte da un filo che li riconduce alla banda della Magliana come l’ex Nar Massimo Carminati, uno dei protagonisti dell’inchiesta.
L’esponente più in vista, iscritto nel registro degli indagati - «posizione da vagliare», precisa il procuratore Giuseppe Pignatone - è l’ex sindaco Gianni Alemanno, che respinge gli addebiti. L’accusa principale riguarda i fondi elettorali, di natura illecita, che avrebbero finanziato la sua campagna elettorale. Certo è che l’ordinanza di un migliaio di pagine scritta dalla direzione distrettuale antimafia della capitale insieme al Ros dei Carabinieri e - per la parte dei sequestri - al nucleo di polizia tributaria della Gdf, ha un valore indiscusso, memorabile, nella lotta alla criminalità organizzata. «Mafia capitale» infatti è un’organizzazione criminale romana «originaria e originale, autoctona anche se collegata ad altre organizzazioni e con caratteri suoi propri e originali rispetto alle altre organizzazioni mafiose», sottolinea senza enfasi Pignatone. Ma oltre a essere originale e autoctona, «Mafia capitale» ha messo le mani non solo su Roma come città, ma anche sui centri decisionali delle istituzioni. Intrecciando violenza, potere e corruzione.
Un centinaio di indagati
Arresti in carcere per 29 persone, otto ai domiciliari, oltre 100 persone iscritte nel registro degli indagati. L’operazione viene ribattezzata «Mondi di mezzo» a rappresentare la zona grigia di confine tra la legalità e l’illegalità, anche se in realtà è uno scenario tutto votato al crimine, secondo gli investigatori del Ros guidato dal generale Mario Parente. Carminati, dunque, è uno degli attori principali della vicenda giudiziaria: il lavoro dei carabinieri del reparto anticrimine di Roma al comando del colonnello Stefano Russo, iniziato nel 2012, riesce a tessere una complicata trama investigativa che disegna, alla fine, la holding criminale di Carminati nelle sue molteplici imprese del malaffare: dagli appalti all’estorsione, dall’usura al recupero crediti. «Io sono il re di Roma», dice Carminati.
Il boss aveva contatti con manager, politici e col crimine di ogni specie: da Michele Senese, boss in odore di Camorra, alla “batteria” di Ponte Milvio che controlla i locali della movida romana, dalla potente famiglia nomade romana dei Casamonica alla criminalità comune. Un’organizzazione, secondo l’accusa, che ha potuto contare su figure di vertice dell’amministrazione capitolina dal 2008 al 2013. Finiscono in manette, l’ex amministratore dell’Eur Spa, Riccardo Mancini, da sempre braccio destro di Alemanno, e l’ex ad dell’Ama, Franco Panzironi. Considerati, dice l’ordinanza, «pubblici ufficiali a libro paga» che fornivano «all’organizzazione uno stabile contributo per l’aggiudicazione degli appalti». Panzironi e Mancini si sono adoperati anche per «lo sblocco dei pagamenti in favore delle imprese riconducibili all’associazione e come garanti dei rapporti dell’associazione con l’amministrazione comunale».
Di fatto quello presieduto da Carminati è a tutti gli effetti un comitato d’affari che copriva tutti i settori produttivi della capitale compreso il business dell’accoglienza degli immigrati e quello dei campi nomadi. Carminati detta ordini a Salvatore Buzzi (numero uno della cooperativa 29 giugno, appartenente all'universo Legacoop). «In cambio di appalti a imprese amiche – ha spiegato il procuratore aggiunto Michele Prestipino - venivano pagate tangenti fino a 15mila euro al mese per anni. Ma anche centinaia di migliaia di euro in un solo colpo».
Inquisiti a destra e sinistra
Tra gli arrestati c’è anche Luca Odevaine, già capo di gabinetto nel 2006 dell’allora sindaco di Walter Veltroni, che nella sua qualità di appartenente al tavolo di coordinamento nazionale sull’accoglienza per i richiedenti e titolari di protezione internazionale avrebbe orientato, in cambio di uno «stipendio» mensile di 5mila euro garantito dal clan, i finanziamenti per i flussi di immigrati alle strutture gestite da uomini dell’organizzazione. Tra gli indagati anche tre esponenti di punta dell’attuale amministrazione capitolina: l’assessore alla casa Daniele Ozzimo e il presidente dell’assemblea capitolina Mirko Coratti, entrambi del Pd, che si sono già dimessi pur dichiarandosi «estranei». Indagato anche il responsabile della direzione Trasparenza del Campidoglio, Italo Walter Politano, che sarà rimosso dal suo incarico. Nella rete anche due consiglieri regionali, uno dem (Eugenio Patanè) e l’altro di Forza Italia (Luca Gramazio).