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C'è del marcio in Scandinavia: così declina il modello nordico

Svezia, Finlandia, Norvegia e Danimarca si scoprono più fragili sotto i colpi della crisi economica, dell'insostenibile pesantezza del Welfare di fronte alle sfide demografiche e migratorie, delle tensioni innescate dal populismo. A complicare il quadro, ora, si aggiunge il crollo del petrolio

3. Il declino del modello nordico / Norvegia: ombre sul tesoretto petrolifero

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«Abbiamo bisogno di nuove industrie, un nuovo sistema fiscale e un miglior clima per gli investimenti in Norvegia». Le dichiarazioni di pochi giorni fa di Erna Solberg, primo ministro norvegese, tradiscono la preoccupazione dominante a Oslo in questi giorni: che cioè il crollo del prezzo petrolio, alla base delle fortune economiche del Paese, ne minacci le prospettive. La Norvegia è oggi il maggior produttore in Europa; grazie al petrolio del Mare del Nord, da cui arriva un quinto del suo prodotto interno lordo, ha finanziato un generoso sistema di welfare e raggiunto un tenore di vita che ne fa il secondo per Pil pro capite nel Vecchio Continente (alle spalle del Lussemburgo). Ora però il clima è cambiato e gli effetti si cominciano a sentire. Già nel terzo trimestre dell'anno il fondo sovrano di Oslo, ampiamente alimentato dalle rendite petrolifere, aveva fatto sapere di aver registrato una redditività appena dello 0,1 per cento. Ora si aggiungono ripercussioni negative su crescita investimenti e occupazione. Negli ultimi mesi sono stati persi 7mila posti di lavoro. Nel 2015 le compagnie energetiche norvegesi taglieranno gli investimenti del 14%. E le stime di crescita del Paese sono state corrette dall'istituto di statistica: dal 2,1 all'1 per cento nel 2015. «Senza la spinta del settore petrolifero – ha dichiarato al Wall Street Journal Kyrre Aamdal, analista di Dnb Bank – potremmo diventare molto simili ad altri Paesi».

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