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Questo articolo è stato pubblicato il 05 dicembre 2014 alle ore 15:11.
L'ultima modifica è del 05 dicembre 2014 alle ore 20:22.

La partita sull’Italicum si deciderà la prossima settimana. Oggi si è conclusa la discussione generale ma a partire da martedì ciascuno sarà chiamato ad uscire allo scoperto, a schierarsi. Vale anche e soprattutto per il governo, delle cui proposte si dovrà far carico Anna Finocchiaro, presidente della commissione Affari costituzionali, relatrice dell’Italicum nonché nome rimbalzato più volte quale possibile candidata per il Quirinale. Un compito tutt’altro che facile perchè impone di fare i conti non solo con le opposizioni, a partire da Fi, ma anche e soprattutto con la sua maggioranza e in particolare con il suo stesso partito: il Pd.

Non a caso nelle ultime settimane il dibattito più o meno palese si è concentrato non su premi di lista o soglie di sbarramento (su cui c’è oramai una condivisione di massima) ma sulle preferenze. La minoranza Pd chiede al suo segretario/premier esplicite garanzie: «Su questo non arretriamo», ha detto a più riprese Pier Luigi Bersani . Un avvertimento che Renzi non può non prendere in considerazione visto che il voto dei bersaniani in commissione è decisivo.

Ecco perchè l’ipotesi dei «100» capilista bloccati, su cui si erano accordati nel loro ultimo vis a vis, Matteo Renzi e Silvio Belusconi, ma contro la quale si è scagliata la minoranza democrat già pare superata.

L’ipotesi di queste ore è un mix e prevede un listino bloccato corto su base regionale e il resto dei deputati scelto con le preferenze nelle circoscrizioni elettorali, che potrebbero così tornare ad essere più piccole garantendo una maggiore riconoscibilità dei candidati per gli elettori. L’ipotesi dei capilista bloccati aveva invece imposto di allargare le circoscrizioni e quindi ad allungare inevitabililmente le liste per evitare chefossero eletti quasi solo ed esclusivamente i capoilista. In questa seconda ipotesi invece si garantirebbe sia la possibilità di far entrare alla Camera deputati di particolare rilievo, per «competenza» o «fedeltà» al leader ,senza escludere dalla competizione chi invece conta solo ed esclusivamente suoi propri voti e magari dissente dalla linea maggioritaria del partito di appartenenza. Vale per l’attuale minoranza Pd, ma anche per i “dissidenti “ di Fi, i fittiani, che al Senato sono ormai una trentina e rappresentano quasi la metà dell’intero gruppo azzurro. Ecco perchè anche Silvio Berlusconi, nonostante abbia smentito un suo ripensamento pro-preferenze, in realtà sta cercando una soluzione. Il rischio per il Cavaliere di ritrovarsi delegittimato dal suo stesso partito alla vigilia della partita sul Quirinale, va scongiurato a tutti i costi, anche a prezzo del sì alle preferenze.

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