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Questo articolo è stato pubblicato il 06 dicembre 2014 alle ore 09:34.

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Il sacco di Roma vale un miliardo e 300 milioni. Come minimo e solo quest'anno: ma dura da un pezzo. La cifra equivale al valore dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità dal comando provinciale della Gdf nel 2014. Somma che potrà crescere ancora fino alla fine di dicembre. È oltre il doppio del 2013, cinque volte di più del 2012: un crescendo impressionante. Con un'impennata dovuta proprio all'operazione «Mafia Capitale» della procura di Roma.

I dati coincidono con l'avvvento nel 2012 a piazzale Clodio di Giuseppe Pignatone. Un magistrato che ha pianificato una strategia paziente, meticolosa ma spietata contro le organizzazioni criminali. Il risultato più clamoroso, per ora, è appunto «Mafia capitale». Dove gli uomini della Gdf al comando del generale Ivano Maccani hanno sequestrato la bellezza di 200 milioni di valore tra beni mobili e immobili. In tutta Italia, le Fiamme gialle al comando del generale Saverio Capolupo sono in prima linea, tra le forze di polizia, su questo fronte.
Dietro i numeri c'è un progetto tra istituzioni non scritto ma comune, condiviso, consolidato e sempre più efficace. È un atto di forza contro il potere economico delle organizzazioni mafiose. Significa depositare atti di sequestro, di confisca, interdittive antimafia, oltre, è ovvio, agli strumenti più tradizionali. Sottolinea Maccani: «Dal 2013 abbiamo promosso la diffusione a favore di tutti i reparti operativi della cultura delle indagini patrimoniali come esito naturale di ogni attività di servizio». Sembrano belle parole, in realtà si sono tradotte in operazioni micidiali per i patrimoni immensi di boss come Massimo Carminati, Ernesto Diotallevi o Mario Iovine. Una linea di azione che vede ormai molti protagonisti. Pignatone lavora insieme con l'aggiunto Michele Prestipino. Con gli uomini della Finanza, ma anche del Ros dell'Arma e della Polizia di Stato. C'è un'ottima intesa con la prefettura guidata da Giuseppe Pecoraro: quest'anno ha firmato 19 interdittive antimafia. Nella scena c'è anche Raffaele Cantone, voluto da Matteo Renzi a numero uno Anticorruzione, che con il prefetto di Roma ha disposto il commissariamento della maxi-società dei videogiochi Bplus e ora interverrà sugli appalti del Comune di Roma.

E c'è la Confindustria in prima linea contro la mafia, con le battaglie ormai storiche di Antonello Montante e Ivan Lo Bello. Si vede un filo rosso, dunque, che unisce tutti questi protagonisti, temuto e odiato dalle organizzazioni criminali oggi più o meno vestite con l'abito grigio e i conti off shore. Solo tra le operazioni di quest'anno della Gdf di Roma che hanno incluso sequestri o confische, almeno dieci hanno incluso il capo di imputazione di associazione di tipo mafioso (416 bis).
C'è però una battaglia più difficile e ancora da vincere, più complicata e incerta: restituire i beni mafiosi alla collettività, evitare che i boss o i loro prestanome li riprendano, scongiurare che le aziende sottratte ai mammasantissima finiscano decotte e lo Stato fallisca. Dice il generale Maccani: «Sono stati distaccati tre marescialli presso la III sezione del tribunale di Roma per realizzare un sistema informatico idoneo a gestire il patrimonio sottratto alla criminalità e valutare sin dal momento del sequestro la destinazione». Sottolinea il presidente della sezione, Guglielmo Muntoni: «Ho già disposto, per le misure di sequestro nell'operazione Mafia capitale, che i vertici inquisiti siano subito sostituiti dagli amministratori giudiziari e che l'attività aziendale, che spesso riguarda servizi per la collettività, prosegua senza interruzioni». Muntoni sta valutando come assegnare molti beni immobili agli enti locali, alla società civile, alle forze dell'ordine. C'è già, intanto, un fiore all'occhiello in questa battaglia per la legalità. Il Grand Hotel Gianicolo, hotel de charme, sottratto dallo Stato ai boss della 'ndrangheta, è rinato a vita nuova. Tanto da conquistare la menzione «struttura di qualità» della Guida Michelin in uscita nel 2015.

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