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Questo articolo è stato pubblicato il 08 dicembre 2014 alle ore 07:16.
L'ultima modifica è del 08 dicembre 2014 alle ore 17:09.
TOKYO - A sorpresa, la revisione del Prodotto interno lordo giapponese del terzo trimestre è stata al ribasso anziché al rialzo: si tratta della conferma che il Giappone è in recessione, anche un po' più profonda di quanto indicato nelle stime preliminari.
Il Pil del periodo luglio-settembre si è contratto a un tasso annualizzato dell'1,9% (anziché il -1,6% delle stime provvisorie) , pari a un calo dello 0,5% (e non 0,4%) sul trimestre precedente. Il peggioramento delle previsioni è legato in particolare a una lettura meno favorevole degli investimenti di capitale delle imprese (scesi dello 0,4% anziché dello 0,2% indicato in precedenza), mentre il dato sui consumi personali è rimasto invariato (+o,4%). Anche la cifra sugli investimenti pubblici e` risultata inferiore al dato preliminare (+1,4% anziché +2,2%).
Nel secondo trimestre il Pil era calato a un tasso annualizzato del 6,7 per cento.
È una brutta notizia per il premier Shinzo Abe, che ha convocato elezioni anticipate per il 14 dicembre (ma i giapponesi possono andare già a votare in questi giorni) come un referendum sull'Abenomics, ossia sull'insieme delle sue politiche economiche. Il giorno dopo la notizia della caduta in recessione dell'economia - legata al rialzo dell'Iva all'8% scattato nell'aprile scorso - Abe aveva deciso di rinviare di 18 mesi un ulteriore aumento dell'Iva al 10% e di sciogliere la Camera Bassa per cercare di farsi dare un nuovo “mandato pieno” di quattro anni dagli elettori. La sua campagna elettorale è impostata sull'economia, con lo slogan: “Non c'è una strada alternativa per la ripresa economica”. I sondaggi indicano che comunque il partito Liberaldemocratico di Abe conseguirà una grande vittoria, tra un record di astensionismo e una opposizione debole e frammentata.
Gli economisti si attendono che nel trimestre in corso l'economia nipponica torni sulla strada di una moderata ripresa, nel quadro di un recupero dei consumi dopo il forte impatto negativo – durato più a lungo delle previsioni – determinato dall'aumento della pressione fiscale indiretta.
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