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Questo articolo è stato pubblicato il 09 dicembre 2014 alle ore 13:08.
L'ultima modifica è del 09 dicembre 2014 alle ore 14:37.

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PARIGI - Negli anni della crisi il divario tra ricchi e poveri è fortemente aumentato e non è mai stato così ampio da 30 anni a questa parte. Una situazione che ha un forte impatto sul rallentamento della crescita economica. È quanto spiega l'Ocse in uno studio sulla situazione dei Paesi membri dell'organizzazione.

Secondo gli ultimi dati disponibili, nel 2011-2012 il reddito del 10% della popolazione più ricca è superiore di 9,5 volte a quello del 10% della popolazione più povera. Il cui reddito è infatti cresciuto, ma a ritmi più lenti. A metà degli Ottanta il rapporto era di 7 a 1.

Gli esperti dell'organizzazione parigina hanno utilizzato il coefficiente di Gini per misurare l'aumento della diseguaglianza (il valore varia da zero se il rapporto è perfetto a 1 se l'intero reddito va a una persona sola) e hanno constatato che tra il 1985 e il 2011-2012 (le rilevazioni variano a seconda dei Paesi) il coefficiente è cresciuto di tre punti, passando in media Ocse dallo 0,29 allo 0,32. Il valore è aumentato in 16 dei 21 Paesi per i quali si possono avere serie cronologiche abbastanza lunghe, in tre casi è rimasto invariato e solo in due casi (Grecia e Turchia, dove le disparità erano più forti) è leggermente diminuito.

L'Italia si è mossa esattamente nella media Ocse, passando appunto da 0,29 a 0,32. Nel 2011 il reddito del 10% della popolazione più povero era pari a un decimo di quello del 10% della popolazione più ricca (il 2,4% rispetto al 24,4%). E il divario resta molto ampio anche prendendo in considerazione le fasce del 20% della popolazione: il 20% più povero disponeva del 7,1% del reddito nazionale, rispetto al 39,9% del 20% più ricco.

Per la prima volta l'Ocse fa però un passo in più, sostenendo che l'aumento della disparità ha un impatto sulla crescita. Secondo gli esperti dell'organizzazione parigina, i 3 punti di aumento del coefficiente di Gini si traducono in una perdita potenziale di aumento del Pil nell'ordine dello 0,35% all'anno nei 25 anni successivi alle misurazioni dell'incremento delle disparità, cioè un 8,5% del Pil.

In testa a questa classifica ci sono Messico e Nuova Zelanda, con oltre 10 punti persi di potenziale crescita, seguiti dalla Gran Bretagna con quasi 9 punti. Solo in tre Paesi (Spagna, Francia e Irlanda) una situazione di maggiore equità si è tradotta in un aumento del Pil.

L'Italia si trova in una posizione intermedia, insieme a Stati Uniti e Svezia. Senza un aggravamento delle disparità di reddito, nel periodo 1990-2010 la crescita cumulata del Pil pro capite avrebbe potuto essere del 14,7% rispetto all'8% effettivamente ottenuto. La perdita “teorica” è quindi di 6,7 punti.

Sulla base di queste considerazioni, l'Ocse sollecita i Paesi membri a rafforzare politiche di maggiore coesione sociale, soprattutto per quanto riguarda l'accesso all'istruzione.

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