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Questo articolo è stato pubblicato il 09 dicembre 2014 alle ore 06:38.
L'ultima modifica è del 09 dicembre 2014 alle ore 06:59.

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segnALI di debolezza

In novembre le importazioni hanno registrato una flessione del 6,7% mentre la crescita dell’export è stata

inferiore alle attese

Potrebbe essere decisa in queste ore la correzione del target di crescita fissato da Pechino per il 2015. I principali esponenti del regime hanno infatti dato il via alla “Central economic work conference”, il summit annuale ai massimi livelli e a porte chiuse, durante il quale viene ricalibrata la rotta per le riforme economiche e politiche. E sono sempre più numerose e influenti le voci che consigliano di tagliare dal 7,5 al 7% le stime di crescita per l’anno prossimo.

Voci peraltro sempre più vicine ai circoli decisionali, come quella dei think tank controllati dal Governo. Il capo economista dello State information centre, Zhu Baoliang, per esempio, afferma a chiare lettere che il corretto target di crescita per il 2015 si attesta «attorno al 7%». Già a ottobre, durante la conferenza dell’Accademia delle scienze sociali, i partecipanti, compresi molti ministri, sostennero che un target del 7% sarebbe più appropriato per il potenziale di crescita a lungo termine del Paese, come riferisce alla Cnbc il capo economista di Nomura, Chang Chun Hua.

Una decisione analoga fu presa nel 2012, quando il governo abbassò il target al 7,5% dall’8% dei precedenti 8 anni. La Cina, del resto, sembra destinata a mancare l’obiettivo di crescita previsto dal regime già quest’anno (7,5%) e sarebbe la prima volta dal 1999. Per il 2014 ci si aspetta ormai il tasso di espansione più basso degli ultimi 24 anni.

Una crescita al 7% in Cina fa già scattare i primi segnali d’allarme, poiché è diffusamente considerata il minimo indispensabile per assorbire i circa 10 milioni di giovani che si affacciano ogni anno sul mercato del lavoro. Un’espansione inferiore rischierebbe di tradursi in disoccupazione. Non solo, potrebbe anche aumentare il rischio default sul debito.

Finora il governo ha assistito senza mostrare troppa preoccupazione al rallentamento dell’economia, che vive una fase di transizione verso un modello di sviluppo basato su consumi e innovazione, al posto di quello centrato su investimenti ed export. La crisi globale, tuttavia, complica il già difficile compito e ora gli analisti si aspettano che dal meeting in corso in questi giorni escano le linee guida per politiche monetarie accomodanti, con una combinazione di tagli dei tassi e riduzione delle riserve obbligatorie degli istituti di credito, in modo da favorire l’attività di prestito pur in un contesto di sofferenze bancarie. Misura, quest’ultima, invocata a gran voce dai principali istituti di credito, che attualmente devono tenere a riserva sui conti di Big Mama (Yang Ma, come viene spesso chiamata la Banca centrale in Cina) il 20% dei depositi. Un taglio di 50 punti base libererebbe circa 500 miliardi di yuan (81 miliardi di dollari). La preoccupazione di Big Mama, però, è che questi prestiti, anziché finire a medie e piccole imprese private, prendano ancora una volta la via delle società a partecipazione statale, inefficienti e spesso corrotte, ma a prova di fallimento e quindi clienti privilegiati per le banche.

Un antipasto di questa ricetta è in realtà già arrivato il 21 novembre, quando la banca centrale ha abbassato il costo del denaro per sostenere la crescita e alleggerire la pressione sulle tante società indebitate. Il taglio ha messo fine a oltre due anni e mezzo di stasi sui tassi ed è arrivata dopo che per mesi la stessa Banca centrale aveva ribadito come misure del genere non fossero necessarie. Tra settembre e ottobre, inoltre, Big Mama ha pompato nel sistema bancario 126 miliardi di dollari.

Ieri, nuovi segnali di debolezza, sono arrivati dal commercio: a novembre le importazioni sono scese del 6,7% su base annua, rovesciando le attese che puntavano su una crescita del 3,8%. Frenano anche le esportazioni, cresciute del 4,7%, contro previsioni dell’8%.

Il meeting delle autorità sul futuro economico della Cina dovrebbe chiudersi giovedì, senza dichiarazioni pubbliche, né indicazioni ufficiali sugli obiettivi di crescita (ma le “fughe di notizie” sono di routine in queste occasioni). L’etichetta cinese individua nella cerimonia d’apertura del Parlamento, a marzo, l’ambito corretto per queste comunicazioni. I giochi, però, si stanno già facendo.

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PIL

Variazione % annua

IL PIL CINESE NEL 2015

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Il governo potrebbe essere costretto a rivederla al ribasso

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