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Questo articolo è stato pubblicato il 10 dicembre 2014 alle ore 06:36.
L'ultima modifica è del 12 dicembre 2014 alle ore 18:39.

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«Sono andati a parlare con Spaziante, col generale». Salvatore Buzzi, il braccio imprenditoriale di Mafia Capitale, aveva mosso le sue pedine. Un controllo fiscale della Guardia di finanza nella sede della cooperativa 29 giugno a monte della sua paventata richiesta di informazioni al generale di corpo di armata delle Fiamme gialle, Emilio Spaziante.Già numero due della Gd f, Spaziante è stato coinvolto nell’inchiesta Mose, dove ha patteggiato quattro anni.

Buzzi temeva che il controllo fiscale fosse un tranello per piazzare delle microspie. In realtà non sapeva che gli investigatori del Ros Lazio, coordinati nell’inchiesta dal procuratore capo Giuseppe Pignatone, dall’aggiunto Michele Prestipino e dai sostituti Giuseppe Cascini, Paolo Ielo e Luca Tescaroli, già da tempo ascoltavano le sue conversazioni.

E quella volta, convinto di essere al sicuro, parlava del numero due della Guardia di finanza direttamente con il boss del sodalizio criminale, Massimo Carminati, estremista di destra con trascorsi nella Banda della Magliana. «Sono andati a parlare con Spaziante – racconta Buzzi – col generale...che l’ha mandato sto ragazzo a incontrare con un maresciallo e gli ha fatto un sacco di resistenza e lui gli ha detto solo “due segnalazione...due firmate” però non gli ha voluto dare le cose firmate» aggiungendo che «allora mo sta tornando da Spaziante». «Però – precisa Carminati – è giusto sapere...è giusto sapere quand’è che tu c’ha una persona...di esserti cara...».

Agli atti del procedimento, comunque, sono citati anche altri esponenti delle forze dell’ordine. È il caso di un altro finanziere di Roma, indagato nel fascicolo per abuso d’ufficio, in quanto si preoccupa di sbloccare una pratica d’interesse dell’organizzazione. L’incartamento giudiziario, comunque, sta svelando il presunto coinvolgimento di una serie di esponenti politici che, stando al contenuto delle intercettazioni, avrebbero avuto numerosi contatti con i personaggi chiave dell’inchiesta: Buzzi, Fabrizio Testa, che curava i rapporti con gli esponenti politici, e Luca Odevaine, ex membro del Tavolo tecnico sull’immigrazione, che avrebbe piegato la sua funzione pubblica agli interessi delle coop riconducibili al clan. È proprio Odevaine a cucire i rapporti col Viminale, per implementare il business legato alla gestione e alla nuova apertura di centri di accoglienza. Ed è sempre Odevaine a rivestire un ruolo in un più esplosivo filone d’indagine della Procura della Repubblica di Roma legato alla gestione degli appalti pubblici con la Regione Lazio. Odevaine si muove anche in ambienti vicini alla curia romana.

Il Vicariato oggi si dice «del tutto estraneo» alle attività della Cooperativa “Domus caritatis” e del Consorzio “Casa della solidarietà”, che non sono «riconducibili all’Arciconfraternita del Santissimo Sacramento e di San Trifone, di cui è in corso la procedura di estinzione». Con il camerlengo di San Trifone parlava Odevaine ricevendo promesse di «passaggi molto in alto».

Al Vaticano puntavano invece Ernesto Diotallevi, boss storico indagato come referente di Cosa Nostra a Roma e in rapporti con Carminati. Lui e il figlio Mario erano entusiasti di aver agganciato nel febbraio 2013 il faccendiere Paolo Oliverio, poi arrestato per una truffa da 10 milioni all’Ordine dei Camilliani. «Mamma mia cacciano pure er Papa...tu t'immagini entri a far parte da sicurezza ar Vaticano? - dice Diotallevi senior -. Diventamo miliardari se quello c'ha una mossa per questi prelati». Oliverio si presentava come colonnello della Finanza legato ai servizi e destinato allo Stato Pontificio .

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