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Questo articolo è stato pubblicato il 10 dicembre 2014 alle ore 06:37.
CONTESTO DIFFICILE
Rallenta l’economia:
il Paese si appresta
in questi giorni a tagliare
l’obiettivo di crescita 2015
dal 7,5% al 7%
PECHINO
In una manciata di ore ieri la Cina è piombata in un incubo insostenibile per un gigante alle prese con la riforma delle sue istituzioni finanziarie, per giunta in un frangente poco felice per le prospettive di crescita economica.
Dal picco storico dei 3mila punti superati il giorno prima, al precipizio di quota 2.856,27: come in un eterno ritorno la borsa di Shanghai ha perso un secco 5,43% ma dopo aver incassato lunedì scorso – ironia della sorte - la miglior performance borsistica in 44 mesi a questa parte.
È stata dunque brusca l’interruzione di un sogno cullato a lungo dalla piazza finanziaria cinese e, soprattutto, dagli speculatori a breve: chiudere alla grande questo 2014 vissuto tutto al galoppo, grazie anche all’effetto della Stock connection con la piazza di Hong Kong partita il mese scorso. Sui mercati cinesi si può scommettere, questa la percezione generalizzata.
E, invece, con l’implosione della borsa, il rischio è che ora la Cina perda la capacità di tenere a bada gli effetti inevitabili di riforme ormai non più prorogabili, perdipiù in un contesto di crescita al rallentatore.
Che nel 2015 si debba accettare un calo al 7 per cento dell’aumento atteso del Pil l’ha sancito la Central economic work conference aperta ieri, la sessione annuale a porte chiuse che fissa i target economici dell’anno prossimo e alla quale hanno spianato la strada nei giorni scorsi i think tank governativi. Dicevano: la Cina è entrata nell’era della slow growth e, in definitiva, deve farsene una ragione.
Un simile stop della borsa complica, evidentemente, le cose. Lunedì sono stati diffusi i dati delle Dogane sull’import-xport di novembre, al più basso livello dal marzo scorso. Le importazioni sono scese del 6,7% tra gennaio e novembre la crescita del commercio con l’estero è stata del 3,4% ben al di sotto del 7,5 atteso, soprattutto a causa dei prezzi delle materie prime in calo, compensati dalle maggiori quantità. Le esportazioni sono cresciute appena del 4,7 in caduta rispetto all’11,6 per cento di ottobre.
L’economia reale frena, dunque, non si esporta né si importa il necessario, e che la Cina sia in difficoltà lo dimostra l’indice Pmi: è calato in otto mesi senza soste a quota 50,3 a novembre, dal 50,8 di ottobre secondo l’Istituto nazionale di statistica.
Proprio a sostegno dell’economia reale la People’s bank of China il 21 novembre scorso, dopo due anni di silenzio, ha tagliato i tassi per abbassare i costi dei prestiti, specie nel declinante real estate, e accelerare la liberalizzazione dei tassi di interesse. Un gesto che ha contribuito a rafforzare la convinzione che si andasse nella direzione giusta. Ma la mossa repentina di vietare l’utilizzo dei corporate bond a garanzia di debiti, quindi di utilizzare i bond come collaterali, ieri ha mandato i mercati nel panico: nessuno è pronto a fare a meno di questi strumenti per allungare la catena del debito che la Banca centrale vuole, invece, spezzare, né le aziende, molte delle quali afflitte dalla sovraproduzione, né gli enti locali, oberati dai debiti. Sembra che il 60% dei corporate bond sia emesso in Cina a garanzia di altri debiti e quelli delle municipalità di questo tipo toccano il 40 per cento, parliamo di 17 trilioni di yuan in scadenza a fine anno.
Delusi dal divieto in arrivo, i mercati si sono mantenuti prudenti in vista delle nuove Ipo, la cui riforma è in corso, ma ci sono debutti destinati a mettere in circolo nuova linfa, tra questi la superstar del real estate Wanda Dalian, in arrivo a Hong Kong. Stappato lo champagne per il trilione di yuan (162 miliardi di dollari) di azioni scambiate lunedì, la miglior performance non solo di Mainland China ma di tutti i tempi, gli investitori erano pronti a scendere nell’arena. Oggi, all’apertura delle contrattazioni, si vedrà.
Il Politburo del Comitato centrale del partito ha stabilito che «la Cina continuerà a implementare una politica fiscale proattiva e una prudente politica monetaria per tutto il 2015». Ma, come si è detto, il target per il 2015 sarà “appena” del 7 per cento. È il prezzo da pagare per poter fare le riforme, alla Cina non resta che allacciare le cinture di sicurezza per evitare altri strappi e contraccolpi come quello appena incassato.
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Andamento dell’indice della Borsa di Shanghai e cambio dello yuan sul sollaro