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Questo articolo è stato pubblicato il 11 dicembre 2014 alle ore 06:41.

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Dopo sette anni dall’inizio della grande crisi finanziaria, il 2015 si apre con almeno tre elementi che lasciano ben sperare. Uno: la Bce dovrebbe iniziare a stampare moneta comprando titoli di Stato. Due: gli Stati Uniti dovrebbero continuare a crescere tornando ad essere la locomotiva del mondo. Tre: il petrolio dovrebbe restare a buon mercato favorendo la ripresa economica dei Paesi che - come l’Europa - hanno sempre avuto una bolletta energetica salata. Nel Vecchio continente, poi, il ridimensionamento dell’euro dovrebbe contribuire a sostenere quella ripresa economica che nel 2014 è stata solo una chimera.

Leggendo le previsioni di quasi tutti gli uffici studi, si respira dunque un certo ottimismo. E sono proprio questi tre elementi a migliorare l’umore generale. È così che JP Morgan prevede rialzi medi superiori al 10% per le Borse mondiali. È così che un po’ tutti si aspettano una crescita economica tra il 3% e il 3,5% per il mondo e tra l’1% e l’1,4% per la malandata Europa. Eppure, guardando bene questi tre elementi positivi, non si può non notare che si tratta solo di «jolly» di breve periodo. Tre carte che, nel medio termine, rischiano poi di trasformarsi in una trappola.

I tre «jolly» del 2015

La maggior fonte di ottimismo tra gli economisti e gli investitori deriva dalla politica monetaria della Bce. L’Europa è infatti così stretta nella morsa della bassa crescita e della bassa inflazione che la Bce non potrà fare altro che intervenire. Il presidente Draghi ha già annunciato che la Bce intende iniettare sui mercati mille miliardi di liquidità: dato che non è possibile raggiungere questo obiettivo con le misure già varate dall’Eurotower, tutti scommettono che presto o tardi la Bce dovrà comprare titoli di Stato. Dovrà insomma stampare moneta operando sul mercato dei debiti governativi.

Sebbene non ci sia certezza alcuna che questa manovra ultra-espansiva riesca a rivitalizzare la stagnante economia europea, solo l’aspettativa che la Bce inizi a stampare moneta galvanizza i mercati da mesi. È per questo che lo spread dei BTp è sceso così in basso. L’entusiasmo è favorito anche da un altro elemento: dato che l’inflazione resta bassa per tutti (a causa principalmente delle materie prime), la politica monetaria resterà accomodante in gran parte del mondo. Calcola Morgan Stanley che le banche centrali con un atteggiamento espansivo nel 2015 saranno 28, mentre quelle con una politica restrittiva solo 6. Morale: la droga della liquidità potrà inebriare ancora un bel po’ i mercati.

Se a questo si aggiunge l’effetto benefico del ribasso del petrolio, della corsa economica americana e (per l’Europa) del mini-euro, il sostegno all’economia e ai mercati può rivelarsi consistente. Si pensi al caso dell’Italia. Secondo i calcoli di Intesa Sanpaolo, 10 dollari di ribasso strutturale del prezzo del petrolio si traducono in un incremento del Pil dello 0,3% annuo. A questo, poi, si somma il mini-euro: dato che negli Usa finisce il 7,4% delle esportazioni italiane, se il cambio euro-dollaro restasse sui valori attuali nel 2015 l’Italia potrebbe registrare una crescita aggiuntiva nell’ordine dello 0,7%. Ecco perché tanti guardano al 2015 con moderato ottimismo.

Il lato oscuro dei «jolly»

Purtroppo questo è solo il bicchiere mezzo pieno. Non solo perché sull’economia reale e sui mercati finanziari incombono troppe incognite (quella greca è sola uno delle tante), ma anche perché gli stessi tre «jolly» hanno macroscopici lati oscuri. Prendiamo, ad esempio, la politica monetaria espansiva: questa, come detto, è la principale fonte di ottimismo per il 2015. Ma guardando più in avanti, può trasformarsi in una fonte di rischio.

Innanzitutto perché, come già detto, non c’è alcuna certezza che questa espansione monetaria riesca a produrre effetti rilevanti nell’economia reale: lo dimostra il caso del Giappone, che pur avendo varato la manovra più espansiva al mondo è tornato in recessione. Inoltre questo entusiasmo dei mercati per le banche centrali conferma che Borse e bond sono ormai dipendenti dalla «droga» monetaria. Per di più questa abbondanza di denaro rischia di gonfiare bolle speculative sempre più gigantesche. Morale: oggi tutti si eccitano per la Bce, ma i nodi veri verranno al pettine quando l’inflazione tornerà a salire e le banche centrali - magari tutte insieme - saranno costrette a ridurre gli stimoli e ad alzare i tassi. La «droga» di oggi, insomma, rischia di diventare l’«overdose» di domani.

Anche il ribasso del prezzo del petrolio, a ben vedere, ha almeno due effetti collaterali. Da un lato rischia di mandare in default alcuni Paesi che di petrolio vivono: il Venezuela è già in agonia e la stessa Russia non se la passa bene. Anche perché il rialzo del dollaro pesa su tanti paesi emergenti che hanno 5mila miliardi di dollari di debiti in valuta estera. Già questo rischia di destabilizzare il mondo. Dall’altro il mini-petrolio contribuisce a tenere bassa l’inflazione globale: questo fa piacere a chi va alla pompa di benzina, ma è un problema enorme per chi è indebitato. Perché la bassa inflazione contribuisce ad aumentare il fardello. E il problema dell’iper-indebitamento è ormai globale: si pensi che il debito totale (pubblico più privato) a livello mondiale era pari al 175% del Pil nel 2007 e ora supera il 210% del Pil. L’inflazione bassa, insomma, è una piaga mondiale. Il 2015 potrà dunque essere supportato dai «jolly», ma il mondo ha così tanti problemi strutturali che per risolverli servirà molto di più.

m.longo@ilsole24ore.com

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