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Questo articolo è stato pubblicato il 11 dicembre 2014 alle ore 06:37.
L'ultima modifica è del 11 dicembre 2014 alle ore 06:41.

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ROMA

Il timore era che «tutta la struttura associativa» potesse finire nell’inchiesta Finmeccanica “Broker-Digint” emersa nel 2011. Massimo Carminati ne parla l’anno scorso a luglio. Teme che i carabinieri del Ros scoprano ora quello che allora rimase segreto e lo avrebbe coinvolto.

Di questo ne era a conoscenza anche l’imprenditore finito in quel procedimento, Marco Iannilli, che il boss Massimo Carminati temeva potesse parlare con gli inquirenti: «Iannilli che può sapere di me? Del reato bagattelare?...eh le fatture false».

È uno spaccato che emerge dal vasto incartamento su Mafia Capitale della Procura della Repubblica di Roma, che attraverso l'inchiesta coordinata dal procuratore capo Giuseppe Pignatone, l’aggiunto Michele Prestipino e i sostituti Giuseppe Cascini, Paolo Ielo e Luca Tescaroli. Negli atti c’è una parte rilevante che riguarda i rapporti di Carminati, sia pure indiretti, con l’holding di Stato. E, soprattutto, emerge una parte in cui lo stesso presunto boss rivela di aver avuto un ruolo nella vicenda giudiziaria “Broker-Digint”, in merito a sospette false fatturazioni che avrebbe compiuto, attraverso società intermedie, con Finmeccanica. Anche perchè che Carminati avesse un rapporto particolare con l’azienda, comunque, emerge in modo chiaro da un’intercettazione con Paolo Pozzessere, ex alto dirigente della holding che ha sede a piazza Montegrappa. Una telefonata che svela la «penetrante» conoscenza dei fatti aziendali da parte di Carminati, estremista di destra con trascorsi nella Banda della Magliana. Si legge negli atti: «Carminati discuteva anche con Massimo Perazza (soggetto coinvolto in un presunto furto di carburante alla Marina militare, ndr) del suo coinvolgimento nelle vicende giudiziarie di Iannilli e Mokbel».

In particolare, è annotato negli atti, temeva che «il suo coinvolgimento nell’indagine Finmeccanica riguardava l’interessamento in favore di Iannilli» ritenendo che «gli inquirenti” avrebbero “ricostruito sul suo conto (…) l'emissione di fatture false». Carminati temeva che a rivelare il particolare potesse essere lo stesso Iannilli, anche se precisa al suo interlocutore che «con tutto il rispetto ma che cazzo pensano che sa Iannilli di Carminati? Ma che so scemo a mettere le mani e le cose...e che in vecchiaia mi so rincoglionito? Iannilli che cazzo può sapere di me? Del reato bagatellare? … eh..le fatture false...che mi possono far fare, tre mesi?».

Gli atti, inoltre, svelano anche altri particolari legati al funzionamento delle coop riconducibili a Carminati. È il caso delle vicende legate al Vicariato - già smentite – in cui Luca Odevaine, strettamente legato alla cricca criminale, afferma che «finché c’era Ruini (il famoso cardinale, ndr) c’avevamo questo rapporto stretto, facevamo come gli pareva, adesso non è proprio più così». Nell’incartamento, poi, c’è spazio anche per i timori che Carminati aveva verso il procuratore capo Pignatone. «In Calabria – annotano negli atti gli investigatori - ha capottato tutto» affermando che «non si fa inglobà dalla politica». E ancora: in un’intercettazione ambientale carpita nella sua automobile, nel gennaio del 2012, Carminati parlando di Pignatone, dice che «non giocava» e che «avrebbe buttato all’aria Roma».

Intanto saltano fuori nuovi particolari dell'interrogatorio di garanzia di Nadia Cerrito, la segretaria di Salvatore Buzzi, braccio imprenditoriale di Carminati. La donna, che custodiva il «libro nero della corruzione», una contabilità parallela in cui erano annotate le tangenti, afferma che «nell’arco di un mese potevo preparare 5-6 volte le buste (per le tangenti, ndr), gli importi vanno dai 5mila euro, ci sono da mille euro; 20mila mi ricordo una sola volta di averlo annotato». Gli interrogatori, comunque si sono conclusi ieri. Oggi invece si svolgerà l’udienza al Tribunale del Riesame.

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L’INCHIESTA

Broker-Dignity

Quasi sei anni fa si comincia a parlare di un’indagine che riguarda Finmeccanica e il suo presunto utilizzo di fondi neri per agevolare alcune commesse o riciclare denaro.

L’indagine è in carico alla procura di Roma, e parte dalla cosiddetta inchiesta “Broker”, il caso di riciclaggio per il quale furono arrestati, tra gli altri, l’allora senatore Pdl Nicola Di Girolamo e l’ex ad di Fastweb Silvio Scaglia.

Massimo Carminati, che aveva rapporti con l’azienda di piazza Montegrappa, teme a un certo punto di finire in questa inchiesta con tutta la sua «struttura associativa»

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