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Questo articolo è stato pubblicato il 11 dicembre 2014 alle ore 09:50.
L'ultima modifica è del 29 dicembre 2014 alle ore 19:13.

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Syriza, il partito della sinistra radicale in Grecia, chiede uno sconto del 70-80% del debito greco ai creditori internazionali così come avvenne nel 1952 quando gli alleati concessero uno sconto del 62% alla Germania sconfitta. Una richiesta, quella greca, molto delicata per il fatto di diventare un pericoloso precedente nell'Eurozona, che finora ha sempre evitato salvataggi con ristrutturazioni del debito a carico dei contribuenti di altri stati membri.

Gli aiuti finora concessi sono tecnicamente dei prestiti che dovranno essere restituiti. Diverso il caso dell'haircut da 100 miliardi di euro che ha coinvolto solo i detentori privati dei bond ellenici nel marzo 2012.

Syriza ha reso nota la sua posizione durante un road show svoltosi a inizio dicembre alla City di Londra, dove due emissari del partito di Alexis Tsipras, Giorgos Stathakis e Yiannis Milios hanno spiegato la loro strategia economica a 35 banchieri d'affari, che sono rimasti sconcertati dalle proposte dei due consiglieri economici. Syriza chiede di ridurre il debito greco, che secondo analisi di economisti indipendenti ammonta a 330 miliardi di euro, pari al 177% del Pil che nel frattempo si è ridotto del 25 per cento.«È uno scherzo», è stata la reazione di Joerg Sponer, analista di Capital fund, al termine della riunione londinese con i rappresentanti di hedge fund e banche d'affari.

Syriza chiede anche di ridurre le politiche di austerità fornendo elettrcità gratuita e cibo gratuito (food stamps come negli Usa) alle famiglie più povere, ma Jorg Sponer in una mail inviata ai suoi clienti ha parlato di «scenario cipriota», con i risparmiatori che corrono ai bancomat delle banche , fuga dei capitali all'estero e fine dell'arrivo degli investimenti dall'estero.

Ma chi sono i detentori del debito greco? Dei 330 miliardi di euro complessivi del debito greco il 72% sono da considerarsi “officials loans”, cioè crediti in mano a istituzioni pubbliche (60% della Ue attraverso i suoi fondi Efsf e Esm, e 12% dell’Fmi); 5% sono altri prestiti; l'8% è detenuto dalla Bce; il restante 15% sono marketable debt, cioè titoli di debito trattabili sul mercato secondario (11% sono bond e 4% sono bills, cioè prestiti a breve termine).
Quindi, se si arrivasse a uno “sconto” per evitare l'uscita di Atene dall'euro, a perderci sarebbe soprattutto la Ue, attraverso l'Esm (il fondo salva-Stati) e i suoi stati membri: in percentuale maggiore la Germania, che ha una quota del 27% del fondo salva-stati europeo,seguita dalla Francia con il 20%, dall'Italia con poco meno del 18% e dalla Spagna con l’11,9 per cento.

In una recente intervista sulla dimensione del debito pubblico ellenico, che quest'anno toccherà il picco del 177% del Pil, Klaus Regling, presidente del Fondo salva-Stati, ha spiegato come il debito greco sia comunque «sostenibile» finché proseguono le riforme strutturali. L'Esm detiene attualmente il 44% del debito pubblico greco, mentre sui fondi prestati, con una durata media di 32 anni, Atene paga tassi annui di interesse molto bassi «intorno all'1,5%», ha sottolineato Regling. Eppure l’ipotesi di ristrutturazione del debito resta sullo sfondo e Tsipras conta di farne un argomento della sua campagna elettorale in vista delle elezioni anticipate.

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