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Questo articolo è stato pubblicato il 13 dicembre 2014 alle ore 19:23.

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«Nessuna conseguenza». O no? Il mantra degli ambienti governativi giapponesi è quello di sottostimare come sostanzialmente ininfluente il declassamento del rating sul debito sovrano effettuato il primo dicembre da Moody’s, che ha tolto la doppia A al Sol levante abbassando il suo voto ad A1. A cascata, l’agenzia americana ha rivisto al ribasso il rating delle banche nipponiche considerate più solide – da Bank of Tokyo-Mitsubishi Ufj a Sumitomo Mitsui Banking – e di grandi compagnie assicurative come Nippon Life e Sony Life, oltre a quello di alcune entità finanziarie parapubbliche: anche le grandi banche del Sol levante - il cui portafoglio di asset rigurgita di JGB (Japan Government Bond) - perdono la “Doppia A”, con qualche conseguente difficoltà sul mercato interbancario. Alcune controparti estere, infatti, non accettano in garanzia strumenti che non abbiano la “Doppia A”, rating che i JGB non hanno più (salvo che nella valutazione di Standard & Poor's, anch'essa potenzialmente a rischio).

I media «mainstream» non hanno enfatizzato più di tanto (a differenza di quanto successo in Italia, dove il recente downgrading da parte di Standard & Poor's è finito in prima pagina anche sui quotidiani generalisti), forse per il fastidio di una bocciatura che mette il Giappone un gradino sotto i suoi vicini, Corea del Sud e Cina. Silenzio, poi, sulla minaccia arrivata qualche giorno dopo da Fitch di abbassare il rating attuale (che, ad A+, già coincide con il nuovo voto di Moody's), annunciata per lo stesso motivo: il rinvio dell’aumento dell’Iva al 10% previsto dai piani di consolidamento fiscale, deciso dal premier Shinzo Abe che sul tema ha chiesto l'avallo degli elettori convocandoli alle urne con due anni di anticipo (un posticipo che rende improbabile il raggiungimento del target di un avanzo primario nel 2020).

È stato piuttosto sottolineata la circostanza che nel giorno del downgrading di Moody’s i tassi di mercato hanno reagito addirittura con un ribasso; più in generale, si evidenzia la differenza con altri Paesi, visto che il debito giapponese è quasi esclusivamente in moneta sovrana e detenuto al 92% da investitori domestici: perché preoccuparsi del rischio di massicce vendite di bond e di rovinosi rialzi dei tassi, se i rendimenti dei JGB biennali di recente sono finiti persino sottozero e il decennale resta sull'infima soglia dello 0,4 per cento?

Il vero pericolo per le banche nipponiche (e le finanze statali) arriverebbe se i tassi si impennassero, deprezzando i loro asset e indebolendo l'economia di riferimento. Ma la politica iperespansiva della BoJ fa in modo che i tassi sui JGB non siano più, in sostanza, dettati dal mercato: attualmente la BoJ compra praticamente tutti i bond pubblici di nuova emissione, con una manovra che non pochi equiparano a una monetizzazione del debito pubblico. L’offerta è strizzata al punto che i tassi sul decennale sono scesi ieri al minimo storico dello 0,395%. La prospettiva di un rialzo dei tassi è rinviata al momento in cui la BoJ – come dovrà prima o poi fare – inizierà la sua exit strategy dagli eccessi del suo accomodamento monetario. E in ogni caso, se davvero l'inflazione dovesse radicarsi intorno al 2% come da target ufficiale, i livelli attuali non potranno essere sostenibili a lungo.

Ma Hajime Takata, capo economista di Mizuho Research, è più pessimista e avverte: «Attenzione, gli speculatori cominceranno ad attaccare quando la Federal Reserve, l'anno prossimo, inizierà ad alzare i tassi». Nell'immediato, una indicazione di disagio degli investitori è arrivata dai movimenti sul mercato dei credit default swap: il costo annuale per la protezione da un eventuale futuro default sui JGB è raddoppiato rispetto a settembre, oscillando intorno allo 0,6% (massimi da oltre un anno). Ed è salito anche per varie grandi aziende e istituzioni finanziarie della Corporate Japan, che pure stanno registrando profitti vicini ai record in parte grazie al deprezzamento dello yen. Anche il mercato degli swap valutari ha reagito: per uno swap yen-dollaro a 5 anni, gli yield spread sono saliti a 70 punti base, il massimo dal luglio 2013. Alcuni analisti, poi, ipotizzano che sarà più difficile per la Banca del Giappone decidere in futuro nuovi allentamenti della politica monetaria, compromettendo la sua credibilità sul target di inflazione.

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