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Questo articolo è stato pubblicato il 14 dicembre 2014 alle ore 08:13.

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Stava sorseggiando un bicchiere di Recioto portato dall’Italia ed era in compagnia di un collega francese durante un convegno di ‘The Natural Step', Ong di cui è cofondatore, quando ha avuto l’illuminazione vincente. Era il 2008 e Luca Rossettini, ingegnere aerospaziale ed esperto di sostenibilità ambientale pensa di fondere queste due competenze e comincia a coltivare l’idea di trasferire il concetto di sostenibilità nello spazio e poter così liberare i cieli dall’ingombrante presenza di rifiuti spaziali, detriti che cadono ogni giorno sulla terra con pericolo di contaminare non solo l’atmosfera, ma anche il suolo. I satelliti non più attivi che vagano senza meta perché hanno fallito il loro rientro sulla terra o perché non erano stati programmati per questo, sono migliaia. Ogni anno ne lanciamo una media di 100 e i numerosi programmi per il loro recupero a fine vita possono interessare circa 10 satelliti all’anno, poca cosa se vogliamo ripulire i cieli. L’idea base di D-Orbit invece è quella di installare nel satellite in partenza un dispositivo che preveda il rientro guidato e sicuro alla fine vita del satellite. Anche in caso di guasto o di imprevisti il dispositivo, da terra, si mette in moto e fa rientrare il satellite mettendo così lo Stato costruttore al riparo da eventuali danni che può causare un satellite fuori uso. Oppure addirittura lo parcheggia in un’orbita dalla quale si potranno, un domani, recuperare parti funzionanti. Insomma il programma di D-Orbit applica allo spazio lo stesso principio in base al quale per i rifiuti terrestri si preferisce il riciclo all’inceneritore. Ma non solo, ai vantaggi ambientali si aggiungono quelli economici perché riducendo i costi per far rientrare il satellite, lo stesso gode di una vita più lunga rimanendo in orbita.

D-Orbit è un fiore all’occhiello delle start up italiane perché, anche se l’idea è maturata durante un lungo soggiorno nella Silicon Valley, Rossettini ha voluto fermamente che l’azienda fosse italiana perché «è qui che si trovano i migliori cervelli» ha detto in una recente intervista. Così, ha preso armi e bagagli ed è rientrato insieme a un gruppetto di italiani, diventati ex cervelli in fuga.

Oggi D-Orbit è classificata tra le 100 imprese più innovative al mondo, conta 15 dipendenti ed è in procinto di assumere altri ingegneri, grazie agli investimenti di ‘capitalisti di ventura’ italiani. Nel 2012 è stato realizzato il primo dimostratore del motore, esaminato con successo in Germania. Nel 2013 hanno lanciato il primo prototipo con il cervello che lo comanda, ALICE2: il “cervello” è stato lanciato dalla base aeronautica di Yasny, nella regione russa dell'Orenburg. Ma non basta: il percorso internazionale di D-Orbit non si ferma. In California hanno fondato la D-Orbit Inc, azienda sussidiaria di quella italiana e nel 2013 il team è approdato al MIT di Boston grazie alla vittoria nella ‘Building Global Innovation Competition'; nel 2014 nasce la sussidiaria portoghese; l’espansione continua sempre con lo stesso scopo, ripulire lo spazio in maniera sostenibile. Nel 2015 si lancerà il primo satellite con il dispositivo di rientro a bordo. La missione di D-Orbit comincerà allora la sua lunga strada portando nell’alto dei cieli l‘eccellenza italiana.

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