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Questo articolo è stato pubblicato il 14 dicembre 2014 alle ore 12:07.
L'ultima modifica è del 14 dicembre 2014 alle ore 18:41.

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«Sfatato il mito che non ci possa essere un'organizzazione mafiosa a Roma. Sarà a Ostia ma Ostia è sempre Roma, non è una cosa diversa»: parola del capo della Procura di Roma, Giuseppe Pignatone. Non lo ha detto in questi giorni ma il 12 febbraio, seduto davanti alla Commissione parlamentare antimafia con il suo aggiunto, Michele Prestipino Giarritta.
Ostia, vale a dire il lido di Roma, con i suoi 94 mila residenti è più grande di Lecce e, da sempre, è crocevia di traffici e interessi mafiosi.

Di questa “città nella città” parlavano i due pm, anche alla luce dell'indagine “Nuova alba” di luglio 2013 e poche settimane prima dell'operazione, chiamata simbolicamente “Tramonto”, condotta a marzo dalla Gdf al comando del colonnello Teodoro Gallone. Le due operazioni hanno portato alla luce una presunta cupola mafiosa - sotto la quale convivono nel nome degli affari due organizzazioni, l'una di origine siciliana e l'altra indigena - che l'accusa sta cercando di dimostrare nei dibattimenti oltre ogni ragionevole dubbio.

Mentre il suo ruolo di cerniera criminale anche per il gruppo di Massimo Carminati viene richiamato in filigrana nell'indagine “Mondo di mezzo”, Ostia comincia a fare i conti con le aule giudiziarie. Il 13 giugno il Giudice per le udienze preliminari Alessandra Tudino ha infatti messo il primo mattone per smantellare la filiera criminale. La condanna più pesante è stata emessa nei confronti di Diego Rossi: 8 anni di carcere. In questo stralcio svolto con il rito abbreviato è stato condannato anche Antonio Basco (3 anni e 4 mesi). La sentenza sancisce per Rossi il reato associativo e l'aggravante di avere favorito gli interessi della famiglia Fasciani (reati caduti per Basco).

Il 28 ottobre, invece, sono arrivate nell'aula bunker del carcere romano di Rebibbia le richieste della procura di Roma per altri 19 imputati nel rito ordinario: oltre tre secoli di carcere. I pm Ilaria Calò e Prestipinio Giarritta hanno raccontato al collegio giudicante cos è Ostia: attentati, incendi, droga, gambizzazioni, intimidazioni, pizzo, usura, investimenti apparentemente puliti, armi, interposizioni fittizie di beni.

Già quando illustrò ai commissari parlamentari antimafia come opera questo sodalizio “autoctono”, cullato e cresciuto a Ostia, Prestipino Giarritta ricorse al racconto di un collaboratore di giustizia, secondo il quale il gruppo imponeva il pizzo per 500, 1000 euro, che rispetto al fatturato complessivo sono briciole. Allora perché imporlo? Lo spiega il pentito e Prestipino Giarritta fa un'analogia con la Calabria. Il pentito dice: «È una questione, come ti posso dì, di rispetto nei miei confronti. Io non li voglio per i 500 euro al mese; 500 euro al mese è una stupidaggine per gente come noi, parliamoci chiaro. Sono stupidaggini, ma è una questione di rispetto».

Ed ecco le parole che uno 'ndranghetista usa con un altro 'ndranghetista quando gli racconta che era andato da un imprenditore a dirgli: «Tu sei venuto qui a fare un lavoro e non hai pagato ancora nulla». Quando glielo racconta gli dice: «Perché vedi, io ci sono andato e te lo devo dire non è per i soldi, per i 1.000 euro, gli ho detto io, non è per i 1000 euro. A me non importa dei 1.000 euro. È per il principio. Tu non puoi venire a lavorare da noi senza bussare alla nostra porta, perché vieni da fuori paese».

Al collaboratore viene anche chiesto di spiegare l'uso della violenza a Ostia: «Bisogna ricorrere alle intimidazioni, al danneggiamento, all'incendio per esigere il pizzo?». E quello di rimando: «Macché, quando mai? No, no. La gente ha paura già di per sé. Ha paura di per sé sentendo il nome. Su dieci al massimo una o due volte uno deve fare sentire qualche cosa». Come nel Sud, insomma.

Ostia è anche il luogo nel quale opera la proiezione di Cosa nostra legata ai Cuntrera-Caruana di Siculiana, i cui tentacoli arrivano anche in Venezuela e Canada, da dove hanno diretto narcotraffici e riciclato fortune. I plenipotenziari di Ostia non sono soltanto legati da affetti personali alla famiglia agrigentina, ma anche da rapporti economici e patrimoniali.

Ostia è questo e molto altro ancora. È la “città nella città” per la quale il Gip Simonetta D'Alessandro, nell'ordinanza firmata a luglio 2013 relativa all'indagine “Alba nuova”, si pone interrogativi inquietanti: «Data la sistematicità delle vicende e la loro collocazione all'interno di un territorio significativo per l'immediata contiguità con una grande capitale europea sede di scelte di Governo, date le prassi operative diffuse, talmente inquietanti da risultare sorprendenti, data la pulviscolare mafiosità… non può sottacersi che tale chiarificazione, che ora è in corso, per anni è mancata e lascia stupefatti, siccome è oggetto di indagine solo nel 2012».

r.galullo@ilsole24ore.com

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