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Questo articolo è stato pubblicato il 14 dicembre 2014 alle ore 08:11.

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di Luca Orlando

Aben vedere, e utilizzando solo il buon senso, quei bulloni sarebbero in realtà da premiare piuttosto che da tassare. Perché un’azienda che “blocca” sul nostro territorio un macchinario pone le premesse migliori per mantenere qui i posti di lavoro, alimentare l’indotto, offrire in ultima analisi un contributo alla nostra malandata domanda interna. Invece quella “patrimoniale mascherata” che la legge di stabilità doveva togliere, resterà. Anche se con qualche mini-ritocco. Dall’inizio della crisi in Italia si stima una perdita di investimenti di 100 miliardi di euro, con un tasso netto diventato negativo.

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L’ANALISI

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Il che significa che l’esborso attuale non basta neppure per mantenere l’assetto produttivo esistente. Un quadro che il legislatore (e il Governo che ha presentato ieri i suoi emendamenti) dovrebbe tenere bene a mente. L’imposizione sui macchinari “imbullonati”, che con le regole attuali contribuiscono ad aumentare la rendita catastale e dunque l’imposizione fiscale, è, a tutti gli effetti, un disincentivo ad investire. Il Governo aveva più volte promesso che avrebbe tolto di mezzo quell’assurdo balzello. Ma la strada scelta pare eccessivamente burocratica, anodina e “pilatesca”, con un emendamento che rimanda ai criteri di una circolare del 2012 purtroppo non particolarmente felice nella sua formulazione. Computare i beni strumentali ai fini della rendita catastale tenendo conto della loro “immobiliarità” non risolve in modo definitivo il problema e lascia ampi margini di indeterminatezza, fatto del resto evidente considerando l’elevato numero di ricorsi che le aziende hanno presentato proprio sulla base dell’applicazione di tale circolare. L’emendamento non risolve l’incertezza e perpetua l’applicazione disomogenea della norma sul territorio, frutto di interpretazioni diverse tra gli uffici. Eppure, separare l’immobile dal mezzo produttivo non pare compito arduo, visto che quest’ultimo, pur se imbullonato per poter funzionare correttamente, a differenza del capannone può essere smontato e ricollocato ovunque mantenendo la propria operatività.

La scelta dell’esecutivo non pare coerente con la volontà dichiarata di sostenere le imprese e rilanciare la crescita, così come lascia perplessi l’obbligo posto ai fornitori della grande distribuzione di vendere senza applicare l’Iva all’acquirente, costruendo così ampie posizioni a credito con tempi di incasso dallo Stato quanto meno incerti.
Là si penalizzano gli investimenti, qui la liquidità aziendale. Come se di
questi tempi fossero commodity presenti in abbondanza e non merce rara da accudire con cura.

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