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Questo articolo è stato pubblicato il 16 dicembre 2014 alle ore 06:36.
L'ultima modifica è del 16 dicembre 2014 alle ore 06:52.

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ALTA TENSIONE A MOSCA

La fuga di capitali,

con i rischi di iperinflazione

e ulteriori deflussi,

ha spinto la Banca centrale

a una stretta record dei tassi

MILANO

Petrolio e rublo tornano a spaventare i mercati finanziari. Le Borse europee avevano provato a rimbalzare dopo le forti vendite della settimana scorsa (in cui Piazza Affari ha ceduto il 7,4%). In mattina il Ftse Mib si è spinto fino a guadagnare l'1%. Nel pomeriggio, però, il nuovo calo delle quotazioni di petrolio e rublo hanno riportato gli investitori a sintonizzarsi su un clima di avversione al rischio. Il Wti (petrolio scambiato a New York) è sceso nel corso della giornata sotto 56 dollari al barile. Il Brent è passato da un balzo intraday a 63 dollari (in scia a timori di un blocco dell’export in Libia dopo nuovi scontri nel Paese) a quota 61. Il tutto dopo che il ministro dell’Energia degli Emirati Arabi Uniti, Suhail bin Mohammed al-Mazrou, ha difeso la decisione dell'Opec di non avere tagliato la produzione il 27 novembre scorso. Il rublo ha perso 10 punti percentuali nei confronti del dollaro, portando il passivo delle ultime settimane vicino al 50%. La divisa russa ha ceduto terreno anche nei confronti dell'euro (-8%). Al momento i mercati continuano a “sfidare” la banca centrale russa, che ieri in tarda serata ha di nuovo alzato i tassi portandodoli dal 10,5% al 17%, dopo che li aveva già alzati la settimana scorsa di 100 punti base (al 10,5%). A questo punto la fuga di capitali, con annessi rischi di iperinflazione e di ulteriori deflussi, sta creando paura e confusione sui mercati, che al momento preferiscono concentrarsi più sugli effetti negativi del calo del petrolio (spirale negativa su Pil della Russia e su rublo ma potenziale riflesso anche di un rallentamento dell’economia globale) che non su quelli positivi (nei Paesi a forte dipendenza energetica, fra cui l’Italia, si potrebbe tradurre in un aumento del Pil). Nell’incertezza generale c’è stato un allontanamento dalle azioni. Così le Borse hanno preso la strada del ribasso. Piazza Affari ha chiuso con la maglia nera (-2,81%) annullando ancora una volta i guadagni da inizio anno. Perdite consistenti anche per le Borse di Londra -1,8%, Parigi -2,5% e Francoforte -2,7%. I settori peggiori sono stati quello energetico e bancario.

A Piazza Affari le vendite hanno colpito soprattutto le banche e in particolare Mps (-8,14% a 0,5245 euro) che ha aggiornato i nuovi minimi storici e Carige (-7,09%) che continuano a risentire dell’incertezza relativa al loro futuro nonostante il primo via libera della Bce ai rispettivi piani di ristrutturazione dopo che i due istituti avevano fallito gli stress test. Perdite pesanti anche per Unicredit (-4,7%) e Intesa Sanpaolo (-4,33%). Deboli tra i big anche Eni (-3,49%), Enel (-2,54%) e Snam (-2,5%).

Oltre al petrolio e al rublo, gli investitori si concentrano sui due potenti market mover di domani: le elezioni presidenziali in Grecia e le decisioni di politica monetaria della Fed. Se analizziamo i rendimenti dei titoli di Stato greci - che hanno superato il 9% quando poco tempo fa erano al 5,5% - vuol dire che gli investitori iniziano a scontare in parte uno scenario turbolento per Atene. In caso di mancata elezione del candidato espresso dalla maggioranza di governo di Antonis Samaras (Stavros Dimas) anche al terzo turno, sarà sciolto il Parlamento e saranno convocate elezioni legislative anticipate. In questo caso, Syriza, partito anti-austerity e favorevole a una nuova rinegoziazione del debito, si presenterebbe come grande favorito per la vittoria. Ed è questa l’ipotesi che spaventa gli investitori, dover rinunciare a una fetta del prezzo delle obbligazioni acquistate.

All’instabilità greca si aggiunge quella statunitense, relativa alle tempistiche sul rialzo dei tassi. Fino a pochi giorni fa i mercati prezzavano in parte un rialzo dei tassi verso settembre 2015, quindi con molta calma. Tuttavia gli ultimi dati molto positivi che arrivano dall’economia Usa (in particolare quello che evidenzia un aumento dei salari nello stesso momento in cui il tasso di disoccupazione ufficiale è sceso sotto il 6%) stanno spostando l’asticella verso un rialzo “anticipato”, probabilmente a giugno. Scenario che non piace al mondo della finanza che gravita intorno alle azioni. Ne sapremo certamente di domani, quando si riunirà il comitato operativo della Federal Reserve. Dalle parole usate dal governatore Yanet Yellen gli investitori cercheranno di carpire le intenzioni sul rialzo dei tassi. Secondo gli analisti di Bank of America-Merrill Lynch (nello studio «Un altro dicembre da ricordare?») la Fed potrebbe indicare «il rialzo dei tassi nella prima parte del prossimo anno». Per quel che riguarda i mercati europei, va detto, che fa da contraltare lo scenario di quantitative easing, cioè di allentamento monetario da parte della Bce. Questo fattore spegne in parte il sentiment di avversione al rischio. Non a caso oggi il rendimento dei BTp a 10 anni è tornato nel corso della giornata sotto il 2% non distante dal minimo storico di 1,95% toccato sempre il 5 dicembre.

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