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Questo articolo è stato pubblicato il 18 dicembre 2014 alle ore 06:37.
L'ultima modifica è del 18 dicembre 2014 alle ore 06:51.

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L’ANALISI

Che alla fine sia dimostrata la loro innocenza o la colpevolezza, Massimiliano Latorre e Salvatore Girone meritano sia formalizzato il capo d’accusa e stabiliti i tempi del giudizio. A quasi tre anni dal loro arresto, i giudici indiani non lo hanno ancora fatto. Non sappiamo nemmeno quale corpo di polizia debba condurre le indagini decisive né la trasparenza e l’equità con le quali saranno condotte.

È più che legittimo avere dei sospetti sull’obiettività della giustizia indiana. Leggendo le motivazioni con le quali lunedì sono state respinte le moderate richieste dei nostri due marò – il “diritto delle vittime”, dando per certo che Latorre e Girone sono gli aggressori – è facile constatare un pregiudizio di colpa. È anche difficile da spiegare la durezza indiana. Prima c’era il debole esecutivo di Manmohan Singh, minato dalle ripetute sconfitte elettorali. Ora il Bjp di Narendra Modi governa con una maggioranza che non si vedeva da trent’anni. A ottobre ha vinto anche nel Maharshtra (Mumbai) e in Haryana, due degli Stati più industrializzati. E per un anno non ci saranno elezioni.

I vuoti della giustizia indiana sarebbero più che sufficienti per un intervento quanto meno umanitario degli organismi giuridici e politici dell’Unione europea. Ma non si segnalano movimenti. L’ultima visita in India dell’Alto rappresentante europeo risale al 2012. Perché l’Italia continua ad essere lasciata sola? C’è l’aspetto economico. I rapporti Ue-India sono lacustri: i vertici annuali del 2011 e del 2013 sono saltati, e la trattativa bilaterale iniziata sette anni fa per un’area di libero scambio, sembra più morta che congelata. Ma Gran Bretagna, Germania e Francia hanno importanti relazioni commerciali.

L’agenda economica di Narendra Modi prevede la realizzazione di grandi progetti come i corridoi economici fra le metropoli, i parchi industriali, le smart cities. È evidente che l’Italia, il cui interscambio con l’India (1,1 miliardo di abitanti) ora è uguale a quello con la Polonia (40 milioni), resterà fuori dal business. E questo potrebbe non dispiacere a inglesi, tedeschi e francesi.

Ma non saremmo obiettivi se imputassimo agli affari la nostra solitudine nel caso dei due marò. Sulla facciata di Palazzo Marino in piazza della Scala, sede del Comune di Milano, ora c’è un grande manifesto che invoca la liberazione delle ragazze nigeriane rapite da Boko Haram. Non ce n’è mai stato uno dedicato a Latorre e Girone. Non lontano, in corso Monforte, sulla facciata della Provincia, lo striscione c’è. Da qualche tempo in Comune hanno rimediato, esponendo un cartello simile al menù dei gelati di un bar, riportato dentro la sera quando si chiude.

L’amministrazione comunale è di centro-sinistra, quella provinciale di centro-destra. È più o meno così in ogni città italiana: una solidarietà on demand ideologico. Massimiliano Latorre e Salvatore Girone non sono due militari italiani arrestati mentre erano in missione: sono ritenuti due eroi o due fascisti. Usati come nuovi balilla da un ridicolo post-fascismo italiano o come guerrafondai da un becero anti-militarismo di sinistra. Nessun Paese al mondo consentirebbe mai che due suoi militari in missione internazionale siano giudicati da un Paese terzo: innocenti o colpevoli che siano.

In Italia sì. Perché i nostri li abbiamo mandati laggiù senza le necessarie garanzie giuridiche internazionali: lo fece l’allora ministro della Difesa Ignazio La Russa, mal consigliato dai vertici militari. Dopo di lui non c’è stato governo dei tre successivi che non abbia commesso madornali errori. Ma non è solo colpa loro, né di Matteo Salvini che avanza l’infantile proposta di usare i reparti speciali. Se siamo soli davanti all’India è per l’incapacità del Paese di definire un interesse nazionale bipartisan, nemmeno quando riguarda la libertà di due soldati italiani.

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