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Questo articolo è stato pubblicato il 20 dicembre 2014 alle ore 17:31.
L'ultima modifica è del 21 dicembre 2014 alle ore 18:52.

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(Reuters)(Reuters)

Quasi non se ne parla. Eppure si trova sulla sponda meridionale del Mediterraneo, alle porte dell'Unione europea. Non è così conosciuto, e non è certamente esteso quanto lo Stato islamico guidato dallo spietato califfo Abu Bakr al Baghadi. Non può peraltro contare sulle sue grandi risorse: raffinerie, pozzi di petrolio, dighe e raccolti di grano. Ma del fratello maggiore , il piccolo califfato di Derna condivide l'ideologia impregnata di odio e intolleranza, i mezzi brutali per sopprimere il dissenso, e le leggi oscurantista imposte a una popolazione civile inerme.

Nel silenzio, a poche centinaia di chilometri dalle coste italiane e greche, è sorto un nuovo califfato nella città libica di Derna, nella regione orientale della Cirenaica. Qui le bandiere nere dell'Isis sono issate su ogni edificio governativo. Qui lo stadio di calcio è stato trasformato nel teatro delle pubbliche esecuzioni – anche decapitazioni, amputazioni e impiccagioni .Qui le forze di polizia che si ispirano all'Isis pattugliano le vie della città per vigilare l'osservanza di una rigidissima interpretazione della Sharia. L'Unione Europea si trova dunque con l'incubo della bandiera nera dell'Isis alle porte di casa, separata da un braccio di mare.

L'annuncio ufficiale è arrivato a fine ottobre, con un proclama di alleanza al califfo al Baghdadi. Ma i prodromi del nuovo Califfato che si affaccia sull'Europa si erano già manifestati diversi mesi prima.
Nell'indifferenza del mondo, questa città strategica di 80mila abitanti, adagiata su una ridente baia della Cirenaica a 200 km da Bengasi, era divenuta una sorta di città-Stato, sfuggita al controllo del governo di Tripoli. Tanto che il 25 giugno, il giorno delle elezioni parlamentari, tutti i seggi di Derna erano rimasti chiusi. Perché Derna non era più la Libia.

A dire il vero la città è sempre stata una spina nel fianco di Gheddafi. Dal 2005 al 2007 era stata la fucina degli jihadisti libici pronti a immolarsi in Iraq. Ma era una fenomeno marginale. Che fosse una città conservatrice lo si vedeva dallo fervore religioso dei suoi abitanti , dalle vesti islamiche, dalle lunghe barbe. A fine febbraio del 2011, bastava connettersi su una radio locale per comprendere il destino della città. «Cari fratelli che avete combattuto in Iraq e in Afghanistan – incitava lo speaker della nuova radio di Derna, una delle emittenti nate in Libia dopo 42 anni di censura - ora è tempo di difendere la vostra terra!».

Ma cosa c'entra la Libia con l'Iraq? C'entra. Perché nel 2007 l'esercito americano a Baghdad diffuse una lista dei mujaheddin stranieri che combattevano a fianco degli insorti: su 112 cittadini libici , 52 (tra cui alcuni kamikaze) erano proprio di Derna. «Io ne ho inviati circa 25 – ci aveva precisato Abdul Hakim al Hasadi, uomo vicino ad al Qaeda e in quei tempi responsabile della sicurezza della città - . Alcuni sono tornati e oggi sono sul fronte di Ajdabiya; sono patrioti e buoni musulmani, non terroristi. Io condanno gli attentati dell'11 settembre, e quelli contro i civili innocenti in generale. Ma i membri di al-Qaeda sono anche buon musulmani e lottano contro l'invasore».

Oggi al Qaeda non esercita più alcuna influenza sulla città più pericolosa della Libia. E' stata di fatto espulsa. Nei dintorni di Derna fonti dei servizi libici confermano la presenza di una decina di campi di addestramento creati da combattenti fedeli all'Isis al fine di formare i jihadisti del Nord Africa, così come altre strutture di supporto nei pressi delle Montagne Verdi La gran parte dei 300 jihadisti libici che erano partiti in Siria, arruolandosi nel battaglione dell'Isis al Battar , dispiegato prima nella città siriana di Deir Ezzor e poi in quella irachena di Mosul, sono tornati. La loro organizzata rete di proselitismo – guidata dal leader religioso saudita al-Baraa el-Azdi, oggi il a capo del sistema giuridico islamico della città - ha attratto nuovi combattenti. E ora sarebbero diverse centinai – forse 800 - i jhiadisti fedeli allo Islamico, molti dei quali seguaci del gruppo fondamentalista Ansar al Sharia Libya.

Per ora non possono contare su grandi pozzi di petrolio. La loro maggior fonte di finanziamento è la tratta di esseri umani e il contrabbando.
Secondo l'intelligence americana, alla guida degli islamisti c'è l'emiro Abu Nabil al-Anbari, iracheno, sodale di al-Baghdadi dai tempi della loro comune detenzione nelle prigioni americane in Iraq. Anbari è il nome di battaglia di Wessam Abd Zeid, emiro di Anbar, e ha ricevuto da al-Baghdadi la responsabilità dell'emirato per il Nord Africa. Una sorta di potente satrapo con diritto di vita e di morte sui sudditi del nuovo, piccolo regno del terrore alle porte dell'Europa.

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