Storia dell'articolo
Chiudi

Questo articolo è stato pubblicato il 21 dicembre 2014 alle ore 14:17.
L'ultima modifica è del 22 dicembre 2014 alle ore 07:12.

My24

ROMA - Nel contratto a tutele crescenti per i neo-assunti l'addio al reintegro nei licenziamenti per motivo economico- organizzativo (che comprendeancheloscarsorendimento: il Governo sembra orientato a chiarirlo esplicitamente) passerà per l'arrivo di indennizzi certi e crescenti, in relazione all'anzianità di servizio del lavoratore.

Una prima certezza è che in caso di contenzioso la tutela monetaria consisterà in 1,5 mensilità (il ministero del Lavoro preme però per arrivare a due ma palazzo Chigi è contrario) per ogni anno di servizio, con un massimo di 24 mensilità. Per evitare licenziamenti nel primo periodo del rapporto, mirati all'incentivo economico riservato al primo triennio del nuovo contratto a tutele crescenti, verrà introdotto un indennizzo minimo che dovrebbe essere di4 mensilità pe ril caso di soluzione giudiziale, e scattare subito al termine del periodo di prova (oggi è di 6 mesi, potrebbe essere aumentato a 9o12).

È prevista anche una conciliazione standard: in questo caso le tutele crescenti consisterebbero in una mensilità per ogni anno diservizio, con un tetto di 16 (qualcuno chiede 18). Anche qui verrebbe introdotto un indennizzo minimo pari a due mensilità, e le somme sarebbero anche esentasse (per rendere più conveniente l'operazione e ridurre al minimo i casi di ricorso al giudice). Anche ieri è proseguito il lavorio tecnico sulla bozza di decreto con la nuova normativa del contratto a tutele crescenti, atteso nel Cdm del 24 dicembre, assieme, a meno di frenate dell'ultim'ora, a lDlgs sull'Aspi. Il provvedimento, che modificherà l'attuale formulazione dell'articolo18, èarrivato a 11 articoli, molto tecnici, e con diversi nodi da sciogliere. Il Dlgs con la nuova Aspi, rafforzata nella durata (fino a 24 mesi) e allargata a una prima quota di collaboratori continuativi autonomi, è ancora in fase di elaborazione (dovrà essere esaminato dalla Ragioneria dello Stato). Sul fronte dei licenziamenti disciplinari la tutela reale dovrebbe rimanere nei soli casi di «insussistenza del fatto materiale». Una delimitazione però ancora piuttosto ampia; ecco perché una parte della maggioranza, capeggiata da Maurizio Sacconi (Ap) e dal giuslavorista Pietro Ichino (Sc), chiede che venga riconosciuta anche al datore di lavoro la facoltà dell'opting out, cioè di poter convertire l'eventuale condanna al reintegro con il pagamento di un indennizzo (in questo caso però più oneroso: potrebbe salire 30-36 mensilità). La soluzione non convincerebbe però una fetta del Pd che paventa un possibile rischio di eccesso di delega.

La necessità dell'opting out anche per il datore di lavoro nasce dal fatto, spiega Pietro Ichino, «che il giudizio sul licenziamento disciplinare funziona sostanzialmente come un giudizio penale, nel quale l'imputato può essere assolto con formula piena anche soltanto perché c'è il ragionevole dubbio circa la sua colpevolezza. Oraall'impresainuncasodiquesto genere si può imporre di pagare un'indennità, ma non di continuare a riporre la propria fiducia in una persona sulla quale gravino indizi rilevanti di colpevolezza». Nel 2013 ci sono stati 96mila licenziamenti per giustificato motivo oggettivo, e 16mila disciplinari. Resta da sciogliere il nodo “piccole imprese”: oggi alle aziende sotto i 16 dipendenti non si applica l'articolo 18, e in caso di licenziamento illegittimo si prevedono indennizzi monetari da 2,5 a 6 mensilità. Non si vorrebbe peggiorare la situazione attuale. Il lavorio sui Dlgs «è ancora in corso - sottolinea il sottosegretario, Teresa Bellanova - ma Governo e ministero del Lavoro puntano a un solo obiettivo comune: varare i migliori provvedimenti possibili».

Commenta la notizia

Shopping24

Dai nostri archivi