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Questo articolo è stato pubblicato il 21 dicembre 2014 alle ore 15:23.
L'ultima modifica è del 22 dicembre 2014 alle ore 08:26.
Secondo i dati pubblicati dalla società 3C etudes e resi pubblici dalla tv di Stato Conseil Beji Caid Essebsi è primo con il 53,8% delle preferenze e Moncef Marzouki segue al 46,2%. Dati simili nell'exit poll della società Sigma: Essebsi è in testa alle preferenze degli elettori con il 55,5% contro il 45,5% di Marzouki. Più del 50% dei tunisini ha votato per il ballottaggio delle elezioni presidenziali. Il vincitore tra il laico Essebsi, 88enne, e il suo avversario Marzouki (presidente uscente, esponente di Ennhada) non sarà noto ufficialmente prima di lunedì sera. I seggi sono stati chiusi domenica pomeriggio alle 17.
Sono trascorsi pochi giorni dal quarto anniversario di Mohammed Bouazizi, il giovane ambulante che il 17 dicembre del 2010 si diede fuoco nella remota città tunisina di Sidi Bouzid innescando la rivolta dei gelsomini contro il dittatore Ben Alì e le “primavere” arabe. Da quella stagione di speranze e illusioni sono tutti usciti con le ossa rotte: l'Egitto è ricorso a un sanguinoso colpo di stato per far fuori i Fratelli Musulmani, la Libia è nel caos, la Siria sprofonda nella guerra civile. Ma dal Mediterraneo, mare nostro e di tutti, arriva anche qualche buona notizia.
La Tunisia, dove oggi si va al ballottaggio per eleggere il nuovo presidente della Repubblica tra l'uscente Moncef Marzouki e il vincitore del primo turno Beji Caid Essebsi, appare come una miracolosa e commovente eccezione. L'Economist l'ha scelta come “Paese dell'anno”, non soltanto perché dà speranza a una regione devastata ma anche per la sua capacità di avere attuato riforme democratiche che se imitate potrebbero migliorare il mondo intero e sicuramente quello musulmano.
Il 2014 è stato un anno pieno di conflitti laceranti, lo stesso Papa Francesco ha parlato di «guerra mondiale a pezzi»; abbiamo assistito all'ascesa barbarica del Califfato tra Siria e Iraq, alla guerra in Ucraina, ai massacri dei Boko Haram in Nigeria; ci sono state violenze inaudite, tentativi di genocidio delle minoranze, dai cristiani agli yezidi, e da ultimo anche massacri di bambini, come è avvenuto pochi giorni fa a Peshawar. Jihadisti, talebani, salafiti, hanno mostrato un volto estremista e feroce del mondo islamico che si è insinuato con atti di terrorismo diffuso anche in Occidente. Ma questa è la versione stravolta dell'Islam, di chi esercita un uso strumentale e deviato della religione, facendo leva su sentimenti di frustrazione e vendetta.
La Tunisia, come la confinante Libia dopo la caduta di Gheddafi, poteva essere travolta ma ha reagito con i fatti alla destabilizzazione e alla violenza. E ora si propone come un laboratorio democratico per il mondo arabo. Dopo una crisi profonda tra il 2012 e il 2013, quando salafiti e jihadisti hanno tentato di sovvertire il Paese - uccidendo anche due importanti uomini politici - la Tunisia ha saputo trovare la strada giusta e anche la minaccia dell'Islam radicale, che pure continua essere presente, sembra parzialmente rientrata.
Ma la Tunisia aveva gli anticorpi per affrontare le sfide di una transizione difficile nel passaggio dall'autoritarismo alla democrazia.
Il secolarismo fu inoculato nel Dna del Paese dal presidente Habib Bourghiba, una sorta di Ataturk del Maghreb. Dopo l'indipendenza nel 1956, Bourghiba diede alla Tunisia un'impronta modernista, laica, filo-occidentale e fece varare un Codice di famiglia molto avanzato: l'emancipazione femminile era la sua bandiera e la favorì con la presenza delle donne negli uffici pubblici, nell'istruzione, scoraggiando l'uso del velo. Non è un caso che la nuova Costituzione approvata a gennaio abbia sancito, pur ribadendo l'identità islamica della nazione, la parità tra uomo e donna anche in politica: le donne nel Parlamento tunisino oggi sono quasi un terzo, percentuale rispettabile persino per gli standard europei.
Lo stesso partito islamico Ennhada guidato da Rashid Ghannouchi, dopo la vittoria elettorale del 2011, ha resistito alla deleteria tentazione di monopolizzare il potere come hanno fatto tragicamente i Fratelli Musulmani in Egitto; ha saputo contrastare l'estremismo e di fronte a una società matura e consapevole ha fatto un passo indietro, accettando la sconfitta subita alle elezioni politiche di ottobre dal fronte laico di Nidaa Tounes, rinunciando poi a presentare una sua candidatura alle presidenziali. Autentica convinzione nei princìpi democratici o dissimulato opportunismo? Risposta difficile ma sicuramente gli islamici si sono lasciati la porta aperta alla possibilità di collaborare anche con i laici: non è del tutto da escludere una futura maggioranza di governo formata da un partito laico e da uno confessionale. Anche per queste ipotesi di mediazione si parla della Tunisia come di un laboratorio politico nel mondo arabo.
Certo la crisi economica morde, la disoccupazione giovanile è alta, il rischio terrorismo permane e questo è uno dei Paesi che esporta più combattenti nelle file dello Stato Islamico. Ma da qui arriva qualche cosa di più di una speranza. Mabruk Tunisia, congratulazioni Tunisia, Paese dell'anno.
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