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Questo articolo è stato pubblicato il 24 dicembre 2014 alle ore 06:39.

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SENZA ALTERNATIVE

Un eventuale cambio

repentino di regime a Mosca

potrebbe avere

delle conseguenze

imprevedibili

L’ultima, se nel frattempo la Russia di Vladimir Putin non se ne è inventata un'altra per impressionare negativamente il mondo, sono le testate nucleari in Crimea. Lo aveva annunciato il ministro degli Esteri Sergey Lavrov, stupito di stupire: poiché la penisola è ormai parte del territorio russo e la Russia è un legittimo detentore di armi atomiche – ha argomentato - non c'è violazione del Trattato sulla non proliferazione.

Inutile obiettare che una parte delle 1.500 testate russe operative, cioè pronte per l'uso immediato, saranno dispiegate in un territorio ucraino tecnicamente occupato: l'unico in Europa ad esserlo. E cosa sperare dopo l'ultima muscolosa conferenza stampa di Putin, la distorta visione del mondo e dei pericoli occidentali immaginari che la sua Russia è convinta di correre?

Il Paese intanto è sull'orlo di una catastrofe economica della quale Putin è il responsabile. Nei suoi 15 anni di potere diretto o indiretto, lui e gli oligarchi che lo sostengono hanno volutamente puntato sull'energia e gli armamenti, ignorando tutti gli altri settori industriali. Oggi i russi importano più del 50% di ciò che consumano e le menti migliori sono costrette a cercare un futuro altrove. Il fenomenale successo dell'hi-tech israeliano è in gran parte un prodotto dell'immigrazione russa: l'ecosistema di opportunità e libertà imprenditoriali che ingegneri, fisici, matematici, inventori hanno trovato a Tel Aviv, non le avrebbero mai avute nella Russia di Putin.

Ora la durezza della crisi economica, della quale le sanzioni occidentali sono solo una parte del problema, potrebbe travolgere Putin. Non è lui l'obiettivo delle politiche ribassiste del petrolio praticate dai sauditi: il loro obiettivo principale forse è impedire che i mercati siano invasi dallo shale oil americano, il cui prezzo di estrazione è molto alto. Ma alla fine è Putin che sta pagando il costo più grave. Ed è probabile che qualcuno al Pentagono o nel partito repubblicano che fra un paio d'anni potrebbe tornare a governare a Washington, stia sognando un cambio di regime a Mosca. È un'ipotesi plausibile? Possiamo fare a meno di Putin?

Di lui eventualmente sì, della Russia no. E poiché oggi non esiste una Russia migliore di quella di Putin, è probabile che non potremo fare a meno di Vladimir Vladimirovich. È illusorio pensare che se lui cadesse vincerebbero i democratici. Qualsiasi categoria di moderato russo – Stolypin nel 1905, Khrushchev nel 1964, i sostenitori della Perestroika vent'anni fa o i liberal del XXI secolo – è di natura minoritaria e perdente. Thomas Jefferson non è ancora nato a Mosca. Certamente non lo è Dmitry Medvedev che di Putin è la versione educata e presentabile, ma nulla di più.

Vent'anni di regime change in Medio Oriente da Saddam Hussein a Mubarak fino a Bashar Assad, dovrebbero spingere alla riflessione chi è tentato di provarci anche in Russia.

Henry Kissinger sostiene che tutto di questo Paese è un'implicita sfida al concetto tradizionalmente moderato dell'ordine internazionale occidentale: il suo assolutismo, le dimensioni, le ambizioni e le sue insicurezze globali. Una pace fraterna con Putin è impossibile, una guerra calda o fredda altrettanto impraticabile. Non ci resta che tentare una pace fredda.

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Andamento delle valute e del prodotto interno lordo di Russia e Ucraina

(*) previsioni Fonte: Oxford Economics/ Haver Analytics

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