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Questo articolo è stato pubblicato il 31 dicembre 2014 alle ore 06:36.
L'ultima modifica è del 31 dicembre 2014 alle ore 09:27.
LO SCENARIO
Settore complesso e molto sensibilie a notizie in arrivo dal fronte dell’offerta - L’Opec intanto vuole che il mercato trovi da solo l’equlibrio
Ultima seduta dell’anno tutto sommato calma per gli agitatissimi mercati petroliferi, con il Brent che è stato scambiato in lieve calo attorno ai 57,80 dollari al barile e con il Wti in leggero rialzo vicino la soglia dei 53,90 dollari. Restano comunque assai vicini i recentissimi minimi da oltre cinque anni e mezzo. Analisti, esperti, produttori e consumatori continuano a seguire con estrema attenzione l’andamento del settore, assai sensibile a ogni notizia in arrivo dai fronti della produzione, dei consumi e della politica. Le previsioni per ora, almeno per il breve periodo, sembrano non lasciare spazio a una rapida ripresa dei prezzi, che nell’ultimo anno hanno perso quasi il 50% del loro valore schiacciati dalla frenata della domanda (soprattutto in Cina) sulla scia della crisi economica , dallo spettacolare incremento della produzione registrato nei Paesi non Opec (Stati Uniti su tutti, grazie al boom del settore dello shale oil), da questioni di natura politica.
A frenare eventuali spinte rialziste dei prezzi sembrano essere - allo stato - soprattutto le strategie messe in atto dai paesi Opec, che il 27 novembre, nell’ultimo meeting di Vienna, hanno deciso di non ridurre la loro produzione per cercare di sostenere il mercato. In pratica, il cartello - che copre circa un terzo dell’offerta mondiale di greggio - ha deciso di lasciare che il mercato ritrovi da solo un equilibrio. Una decisione che, a mente fredda, appare assai razionale. Il paesi del cartello - si legge in un rapporto del colosso dell’asset management Edmond de Rothschild -versano in situazioni differenti. Per esempio Iran, Libia e Nigeria non sono in grado di ridurre le loro estrazioni, che già viaggiano a ritmi ridotti (Tripoli soprattutto ora come ora già produce circa 350mila barili al giorno, contro gli 1,6 milioni di prima dell’inizio della guerra civile). Inoltre l’Opec non è riuscita a trovare l’appoggio di altri grandi produttori - tra cui Russia e Messico - in una eventuale strategia volta a ridurre l’offerta. E poi, da tenere ben presente è che alla base dell’aumento dell’offerta complessiva è stato soprattutto l'incremento della produzione di shale oil negli Stati Uniti. Una tecnica innovativa ma molto costosa resa conveniente nel recente passato dagli elevatissimi prezzi del barile. In media invece i grandi esportatori Opec vantano prezzi di estrazione assai contenuti e quindi sembrano attendere che la debolezza dei prezzi favorisca l’uscita di scena dei competitors meno efficienti. A sostegno di questa tesi, sono le notizie in arrivo dall’Arabia Saudita: il Regno, nel mettere a punto il proprio budget 2015, ha utilizzato come prezzo di riferimento un prezzo del barile molto contenuto (attorno ai 60 dollari, secondo le stime degli analisti). Il paese inoltre negli ultimi anni ha accumulato riserve valutarie sufficientemente elevate (si parla di circa 750 miliardi di dollari) per fronteggiare per parecchio tempo sensibili diminuzioni delle entrate derivanti dall’export di greggio. Riad inoltre non vuole assolutamente perdere quote di mercato e questo soprattutto nei confronti di alcuni “rivali” di sempre, tra cui l’Iran. Teheran attualmente pompa greggio al ritmo di 2,8 milioni di bg, ma che potrebbe alzare i livelli produttivi molto velocemente in caso di un allentamento delle sanzioni connesse allo sviluppo del proprio settore nucleare. Mantenere le proprie quote di mercato per i grandi esportatori Opec appare importantissimo anche per un altro motivo: l’attuale debolezza dei prezzi del petrolio potrebbe favorire un’accelerazione della ripresa mondiale e quindi dei consumi di greggio (difficile avere stime precise, ma gli attuali forti ribassi del petrolio dovrebbero sicuramente avere un qualche impatto positivo sul Pil dei grandi paesi importatori, da quelli occidentali alla Cina e al Giappone).
Insomma, il quadro del settore è assai complicato e sensibile a moltissime variabili. L’opinione di molti analisti è che anche i mercati del greggio dovranno abituarsi a una elevata volatilità dei prezzi e al fatto che almeno per il breve periodo - non dovrebbero mettere a segno recuperi di rilievo.
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