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Questo articolo è stato pubblicato il 06 gennaio 2015 alle ore 09:46.
L'ultima modifica è del 06 gennaio 2015 alle ore 11:08.

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Oggi la Grecia fa meno paura del 2010 perché l'Europa ha un'Unione bancaria sotto la guida della Bce, un Fondo salva stati pronto ad intervenire, una procedura di verifica degli impegni presi dal governo locale che passa dalla troika (Ue, Fmi e Bce).

Ma la Germania, purtroppo, ha cominciato ad avere atteggiamenti ondivaghi: se il portavoce di Angela Merkel, Steffen Seibert, ripropone la tesi classica del sostegno alla Grecia, il settimanale tedesco “Der Spiegel” racconta di un governo tedesco pronto ad alzare il “cartellino rosso” dell'uscita dall'euro al partner greco, mentre il responsabile finanziario dell'Spd, Joachin Poss, parla di conseguenze «incalcolabili» in caso di uscita di Atene. Ma secondo l'istituto di ricerche tedesco di Monaco di Baviera, Ifo, il costo per Berlino dell'uscita greca ammonterebbe a 77 miliardi di euro, tutti a carico dei contribuenti teutonici.
Insomma si ricomincia a far di conto sulla Grexit mentre finora la sinistra radicale di Syriza ha dato segno di pragmatismo non mettendo in discussione la permanenza del paese nell'eurozona, ma solo la politica fiscale di austerità che ha raggiunto livelli non più sostenibili. La troika ha chiesto in quattro anni il varo di 800 norme alla Grecia, premendo l'acceleratore sull'aumento della pressione fiscale piuttosto che sul taglio delle spese improduttive. Errori ammessi dallo stesso Fmi.

Secondo uno studio di MacroPolis il 50% dei prestiti internazionali concessi alla Grecia sono stati destinati a pagare il servizio del debito, cioè interessi e rinnovo dei bond in scadenza. Una situazione che può peggiorare nel momento in cui l'inflazione europea di dicembre potrebbe essere negativa.
Detto questo, il passo successivo è che la richiesta (che può trasformarsi in minaccia) di Syriza di non onorare il debito, pari a 330 miliardi e al 175% del Pil, può diventare un'arma in più in mano al presidente della Buba, Jens Weidmann, che non passa giorno senza ricordare a Mario Draghi come l'acquisto di bond sovrani dei paesi indebitati sia un rischio per chi ha i conti in ordine.

La minaccia greca di un'azione unilaterale, in caso di mancato accordo per ridurre il peso del debito, è insomma un'argomento in più in mano a chi non vuole il Quantitative Easing, cioè l'acquisto di titoli corporate o di bond sovrani di tutti i paesi dell'eurozona senza condizioni al solo scopo di aumentare l'inflazione dell'eurozona e far scendere i rendimenti. Per uno strano gioco del destino la Bce si riunirà il 22 gennaio, tre giorni prima il voto greco.
Il radicalismo di Syriza, che pone un problema di sostenibilità della politica di austerità, e l'altrettanto radicale atteggiamento dei “falchi“ del rigore nordico, possono darsi la mano nello strangolare nella culla l'avvio di una politica monetaria non convenzionale, unica via di uscita di un'eurozona colpita dalla deflazione.

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