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Tfr in busta paga, la pensione complementare scende fin del 30%

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il calcolo di convenienza

Tfr in busta paga, la pensione complementare scende fin del 30%

Incassare il trattamento di fine rapporto mensilmente da marzo 2015 a giugno 2018, invece di destinarlo a un fondo pensione, può ridurre l’assegno integrativo del 10% ma la penalizzazione può sfiorare anche il 30 per cento.

La legge di stabilità – legge 190/2014 – ha introdotto la possibilità di trasformare, per un periodo limitato di tempo, il trattamento di fine rapporto (Tfr) in una parte integrativa della retribuzione. Un’opzione che può risultare utile per far fronte alle spese primarie di breve termine, al saldo delle varie imposte previste, e forse per determinare un incremento dei consumi.

Le conseguenze della scelta
Tuttavia le conseguenze di questa scelta devono essere comprese in maniera chiara. Infatti la prestazione netta che il lavoratore potrebbe ricevere alla cessazione dal servizio da un fondo pensione si ridurrebbe, in alcuni casi anche in maniera drastica, qualora venisse richiesta l’erogazione del Tfr in busta paga, come evidenziato da una serie di proiezioni.

Gli elementi in gioco
La riduzione della prestazione finale corrispondente al trattamento di fine rapporto maturato dipende da alcuni fattori, come, per esempio, il numero di anni di iscrizione al fondo pensione, il periodo temporale lungo il quale avviene l’iscrizione e il tasso annuo di rendimento ottenuto. L’impatto maggiore del Tfr in busta paga si verifica nei casi di periodi contributivi più contenuti e tassi annui di rendimento dei fondi pensione più elevati.

Gli esempi di calcolo
Nei calcoli effettuati (si veda la tabella qui a fianco) si è ipotizzato che il lavoratore destini l’accantonamento di Tfr al fondo pensione a partire dal 1° gennaio 2015 e per 15, 25 o 35 anni. La prestazione finale è stata confrontata con quella che il lavoratore otterrebbe qualora decidesse di ricevere dal 1° marzo 2015 al 30 giugno 2018 il relativo Tfr in busta paga, determinando così una temporanea mancata contribuzione nella sua storia previdenziale.

Il taglio dell’assegno
La riduzione percentuale più contenuta (pari a circa il 12%) si verifica qualora il dipendente sia iscritto al fondo pensione per 35 anni e il programma ottenga dall’investimento del patrimonio un tasso di rendimento del 2% annuo in termini reali (cioè al netto dell’inflazione). Viceversa al crescere del tasso annuo di rendimento e per periodi di iscrizione più contenuti la riduzione della prestazione può giungere a livelli ben più elevati (sino a quasi il 30 per cento).

Un impatto simile si verifica anche nel caso in cui il lavoratore decida di lasciare il Tfr in azienda. In una situazione del genere, però, la penalizzazione risulta più contenuta. Qualora gli accantonamenti di Tfr non siano destinati ai fondi pensione, infatti, la prestazione finale netta maturata dal lavoratore è inferiore.

Le trattenute fiscali applicate raggiungono livelli decisamente più elevati (nelle proiezioni elaborate circa il 30% rispetto a un massimo del 15% previsto dai fondi pensione). In tutti i casi la posizione previdenziale personale dovrà essere monitorata in maniera decisamente attenta.

L’anticipo come alternativa
Qualora effettivamente necessario, invece dell’erogazione del Tfr in busta paga si potrebbe optare per la richiesta di un’anticipazione delle prestazioni maturate. Tutti gli iscritti a un fondo pensione, infatti, con almeno otto anni di contribuzione, hanno la possibilità, in assenza di motivazioni specifiche, di poter richiedere in qualsiasi momento sino a un massimo del 30% della posizione accumulata. Un’erogazione del genere, sotto un profilo finanziario, può produrre per il lavoratore gli stessi effetti del Tfr in busta paga (un incremento, cioè, del reddito netto disponibile). Le condizioni previste risultano, però, decisamente più vantaggiose. Mentre il Tfr in busta paga sarà, infatti, tassato come reddito da lavoro dipendente, sulla base, cioè, dell’aliquota marginale personale, l’anticipazione risulterà imponibile a un’aliquota pari al 23 per cento.

Il vantaggio sarà tanto più evidente al crescere del reddito percepito. A parità di disponibilità netta, quindi, la contribuzione lorda “sottratta” al fondo pensione risulterà più contenuta.Non solo. Quando in futuro il contesto economico lo consentirà, le somme ricevute come anticipazione potranno eventualmente anche essere restituite al fondo pensione per incrementare nuovamente la posizione pensionistica in linea con le esigenze previdenziali dell’individuo.

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